Fumata bianca

Chi è l'uomo del Papa per la crisi di Gaza

Il Patriarca di Gerusalemme dei Latini, in questi giorni a Roma, ha ribadito la sua linea sul conflitto: serve cessate il fuoco, ma basta boicottaggi ad Israele

Il cardinale Pierbattista Pizzaballa durante il Venerdì Santo in una foto pubblicata sulla pagina Facebook del Latin Patriarchate of Jerusalem
Il cardinale Pierbattista Pizzaballa durante il Venerdì Santo in una foto pubblicata sulla pagina Facebook del Latin Patriarchate of Jerusalem
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La porpora del cardinalato simboleggia il sangue del martirio. E di sangue, purtroppo, il cardinale Pierbattista Pizzaballa se ne intende essendo Patriarca di Gerusalemme dei Latini. Dopo il tragico 7 ottobre 2023 e la drammatica escalation del conflitto israelo-palestinese, il suo volto è cominciato a diventare familiare in tutto il mondo. La Chiesa cattolica non ha un compito facile in Terra Santa e deve muoversi con cautela per tutelare le comunità cristiane, i rapporti di buon vicinato coi musulmani e non provocare tensioni nelle relazioni diplomatiche tra Santa Sede e Stato d'Israele. Il Patriarca Pizzaballa, però, ha dato prova di equilibrio e capacità anche nei momenti più difficili che non sono mancati in questi ultimi sette mesi.

Pragmatismo lombardo

In questi giorni il cardinale si trova in Italia e lo scorso 1 maggio ha preso possesso del titolo di Sant’Onofrio al Gianicolo, come previsto dopo il concistoro di fine settembre. Nella chiesa romana, Pizzaballa ha tenuto un'omelia in cui, parlando della delicata situazione mediorientale, potevano scorgersi tracce di quel sano pragmatismo che spesso caratterizza la sua terra d'origine, la Lombardia. Il cardinale ha osservato che "tutti vorremmo che gli Stati Uniti risolvessero il problema, vorremmo che i trattati di pace finissero a qualcosa di importante e grande in grado di cambiare il corso della storia" ma ha aggiunto che "il Regno di Dio non cresce così. Cresce nella comunità, con i gesti della comunità, serenamente, poco alla volta" concludendo che "come chiesa di Terra Santa e Roma, uniti, siamo chiamati ad essere quel seme". Insomma, il francescano non si aspetta che la drammatica crisi israelo-palestinese possa risolversi con la bacchetta magica. Nella cerimonia di presa di possesso, il neotitolare della chiesa al Gianicolo ha anche detto che "il profondo solco di odio, di rancore, che c'è tra le popolazioni ci fa capire che i tempi saranno molto lunghi e che ci vorrà una leadership capace di infondere fiducia e con grande visione per il futuro, sapendo comunque che ci vorrà molto tempo, molta pazienza, perché le ferite sono troppo profonde ancora".

Equilibrio, non equilibrismo

Dopo il 7 ottobre non sono mancati i momenti di tensione come dopo la protesta dell’Ambasciata di Israele presso la Santa Sede per la dichiarazione dei Patriarchi e i Capi delle Chiese di Gerusalemme giudicata troppo ambigua. Eppure Pizzaballa gode di stima a Tel Aviv, pur essendo ormai una delle voci più autorevoli a lamentare la situazione dei civili a Gaza e a chiedere il cessate il fuoco. Il Patriarca in questi anni in Terra Santa ha dimostrato di essere un pastore equilibrato, ma non equilibrista: le recenti dichiarazioni fatte in Italia testimoniano che non usa giri di parole per dire quello che pensa della crisi e delle sue conseguenze. In occasione della lectio magistralis tenuta all’Università Pontificia Lateranense tenuta il 2 maggio, il cardinale lombardo ha detto apertamente che “tutti gli accordi di pace in Terra Santa, finora, sono di fatto falliti, perché erano spesso accordi teorici, che presumevano di risolvere anni di tragedie senza tenere in considerazione l’enorme carico di ferite, dolore, rancore, rabbia che ancora covava e che in questi mesi è esploso in maniera estremamente violenta”. La strada da seguire, a suo modo di vedere, non è lastricada da proclami roboanti ma richiede “un percorso di purificazione della memoria" perché "le ferite, se non sono curate, creano un atteggiamento di vittimismo e di rabbia, che rendono difficile, se non impossibile, la riconciliazione". Pizzaballa ha invocato una "purificazione della comune memoria" perché "fino a che non ci sarà un riconoscimento del male reciprocamente commesso e subìto, fino a che non vi sarà una rilettura delle proprie relazioni storiche, le ferite del passato continueranno ad essere un bagaglio da portare sulle proprie spalle e un criterio di lettura delle relazioni reciproche”. A questo proposito, anche da Roma, è tornato a rilanciare il suo appello per la liberazione degli ostaggi israeliani rapiti da Hamas il 7 ottobre. Nella sua lunga esperienza in Terra Santa, il francescano sembra essersi convinto anche che la parola "pace" non deve rimanere astratta ma ha bisogno, come ha detto in un'altra occasione, di "giustizia e di riconoscere i diritti di tutti".

La vicinanza a Gaza, il ruolo su Rafah

La Chiesa cattolica è storicamente per la soluzione del "due popoli due Stati". Lo stesso Pizzaballa ne è un sostenitore, sebbene pochi mesi fa abbia osservato che oggi "tecnicamente mi sembra difficile, anche se sarebbe l’unica via possibile". Nell'intervento alla Lateranense tenuto in questi giorni romani, il cardinale si è espresso nettamente dicendo che "da decenni in Terra Santa sussiste l'occupazione israeliana dei territori della Cisgiordania, con tutte le sue drammatiche conseguenze sulla vita dei palestinesi e anche degli israeliani" ed ha detto che "la prima conseguenza e la più visibile di questa situazione politica è la condizione di ingiustizia, di non riconoscimento di diritti basilari, di sofferenza nella quale vive la popolazione palestinese in Cisgiordania. E' un'oggettiva situazione di ingiustizia". Tradizionalmente il Patriarcato latino di Gerusalemme ha una posizione di non ostilità alla causa palestinese, anche perché - come ha ricordato Pizzaballa alla Lateranense - a Gaza la comunità cattolica, ora ridotta, è formata da 462 persone. Ma il cardinale non crede sia il caso di sopravvalutare un eventuale ruolo di mediazione che può svolgere la Chiesa cattolica nel conflitto. Per quanto riguarda la possibile incursione israeliana a Rafah, Pizzaballa ha risposto ai giornalisti dicendo: "diciamo che siamo presenti, adesso non è il momento di entrare in parti particolari". Ma ha anche osservato che "non è il nostro ruolo entrare dentro la mediazione soprattutto in realtà così complesse e problematiche però creare i contesti le premesse perché questo possa avvenire". Una posizione, ancora una volta, che rivela il suo pragatismo maturato anche nei tanti anni in Terra Santa e nei tanti negoziati visti fallire.

Contro i boicottaggi

Le parole su quella che ha definito "l'occupazione israeliana dei territori della Cisgiordania" e la vicinanza con la popolazione civile di Gaza non lo portano, però, ad assecondare le proteste in giro per il mondo dei filo-palestinesi. Davanti ai ripetuti tentativi di boicottaggio accademico ai danni di Israele, il cardinale ha manifestato tutta la sua contrarietà. "Confesso di fare fatica a capire", ha detto sempre al termine della cerimonia di presa di possesso al Gianicolo. "Le università - ha puntualizzato il francescano - sono luoghi dove il confronto culturale, anche acceso, deve essere aperto e dove il confronto si deve esprimere completamente ma non nella violenza, non nel boicottaggio".

Un messaggio forte e chiaro che agli studenti e docenti occidentali pro-boicottaggio arriva direttamente da un uomo in prima linea al fianco della popolazione civile di Gaza.

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