In vino veritas

Non essendo le rivoluzioni un pranzo di gala, ma essendo i gala l'unica rivoluzione della gauche champagne, la notizia merita un brindisi

In vino veritas
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Non essendo le rivoluzioni un pranzo di gala, ma essendo i gala l'unica rivoluzione della gauche champagne, la notizia merita un brindisi. A Strevi, Basso Piemonte e alto tasso alcolico, terra di Acqui, di terme e di vini, è stata creata la prima vigna queer d'Italia: «Il mio vino ha detto l'imprenditrice che ha creato un'azienda dedicata alla comunità Lgbtq - è un atto di rivoluzione». Ecco.

L'azienda è di famiglia (i grandi ideali sono ormai privilegio di censo), ma l'idea è sua. Ed è ottima: ha avuto un notevole ritorno mediatico. «Grido con orgoglio la mia identità, ho voluto creare una rappresentanza della comunità queer nel settore vinicolo». Bene. Ma la domanda rimane: ma cos'è esattamente un vino queer?

Sapevamo che la qualità di un vino dipende da vari fattori. Ma non dalle tendenze sessuali del produttore. O, forse, la vigna è geneticamente modificata? O, essendo in qualche modo trans, è una miscela di vini diversi? Quindi è un rosé. Ma esiste già... Magari è una birra che si percepisce come vino. «Prego, provi questo rosso, che però si identifica come bianco. Colore arcobaleno, tannico, globalista, inclusivo...».

In vino veritas, sì.

Ma la verità è che anche le migliori rivendicazioni civili rischiano, se non trovano un equilibrio organolettico, di trasformarsi in puro marketing. O fighettismo di provincia. O moda. È l'onda Lgbtq da cavalcare e degustare.

Quando la nobile scienza dell'enologia si corrompe nella volgare ideologia.

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