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Lo studente telematico costa meno allo Stato

L'attacco portato dal Pd alle università online si arricchisce ogni settimana di nuove puntate

Lo studente telematico costa meno allo Stato

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L'attacco portato dal Pd alle università online si arricchisce ogni settimana di nuove puntate. Talvolta l'attenzione si focalizza sulla didattica, altre volte sulle modalità d'esame oppure sul rapporto numerico tra studenti e docenti. Quasi sempre, però, la pregiudiziale ostilità dei progressisti è figlia del fatto che gli atenei telematici sono per lo più privati; e naturalmente gli eredi del marxismo-leninismo avversano qualsiasi forma di libera imprenditoria.

I dati diffusi in queste ore da Free Academy, però, richiamano l'attenzione sul fatto che vi sono studenti che costano ogni anno molte migliaia di euro al contribuente, e altri studenti invece che non soltanto non costano, ma addirittura aiutano a fare affluire risorse allo Stato. Di media, uno studente iscritto in un'università tradizionale statale pesa sul bilancio pubblico per il solo Fondo per il finanziamento ordinario (Ffo) ben 5.701 euro, mentre chi studia a Unipegaso, Mercatorum o San Raffaele

Roma non soltanto non grava sui contribuenti, ma fa arrivare allo Stato 331 euro (dato che il gruppo che riunisce questi tre atenei nel 2022 ha versato 48 milioni di imposte). Di conseguenza, la crescita degli atenei privati non solo arricchisce l'offerta formativa e aumenta il numero dei laureati, ma aiuta i conti pubblici. Per quale motivo, allora, la sinistra avversa le università telematiche e soprattutto quelle che pagano imposte? Il motivo è ideologico. Il marxismo è defunto e nessuno crede più nell'ineluttabilità di una dittatura del proletariato. Al tempo stesso, però, molti detriti intellettuali del socialismo continuano a impedire una comprensione dei liberi rapporti contrattuali e dell'esigenza che, grazie alle logiche di mercato, i produttori si mettano al servizio del pubblico: offrendo servizi sempre migliori a prezzi inferiori. A sinistra si continua a ritenere che un'università che fa profitti, anche se poi li reinveste nelle proprie attività, mina la libertà d'insegnamento e ricerca. Questo ignora il fatto che un ateneo che sta sul mercato ha bisogno di difendere la propria reputazione ed è incentivato a lasciare la massima autonomia di pensiero ai professori.

Al contrario, oggi dobbiamo fare i conti con un quasi-monopolista di Stato (l'apparato pubblico) che opera sistematicamente in maniera censoria a danno di quanti non sono allineati al politicamente corretto in tema di gender theory, riscaldamento globale, centralizzazione europea e via dicendo.

È allora di più mercato (e non meno) che abbiamo bisogno e va aggiunto che le cifre diffuse da Free Academy sono spietate quando evidenziano, come ha dichiarato Aurelio Mustacciuoli (responsabile Studi e Ricerche dell'associazione) che ben 5050 studenti italiani possono studiare grazie alle entrate fiscali garantite dal gruppo Multiversity.

Anche questo dovrebbe far comprendere che un'università maggiormente plurale, imprenditoriale e concorrenziale aprirebbe nuovi spazi di libertà: a vantaggio di tutti e soprattutto degli studenti.

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