Cronaca locale

Assalto di S. Stefano ai tifosi napoletani «L'ultrà dell'Inter non organizzò il blitz»

I giudici per le Misure di prevenzione riscrivono il ruolo di Piovella

Luca Fazzo

Macché capo degli ultrà violenti, macché protagonista dei fattacci del 26 dicembre. Nell'inchiesta sugli scontri di Santo Stefano nei dintorni dello stadio Meazza fa irruzione ieri un provvedimento giudiziario che costringe a rivedere una delle poche certezze date finora per acquisite: il ruolo guida che nell'agguato ai tifosi napoletani avrebbe avuto Marco Piovella detto il Rosso", uno dei volti più noti della Curva nerazzurra, arrestato il 31 dicembre grazie alle rivelazioni di Luca Da Ros, anche lui ultrà interista. Piovella tutt'ora in carcere, è già stato rinviato a giudizio per rissa aggravata, ed è indagato insieme a altri 22 tifosi di entrambi gli schieramenti per l'omicidio volontario di Daniele Belardinelli, ultrà varesino alleato degli interisti.

Sia la Digos, che la Procura, che il giudice preliminare Guido Salvini hanno finora indicato Piovella come una sorta di professionista della violenza da stadio, e - in base ai verbali del «pentito» Da Ros - lo indicano come il promotore della battaglia del 26 dicembre.

Di lui si è però dovuto occupare anche il Tribunale delle misure di prevenzione, chiamato a valutare la richiesta di sorveglianza speciale per tre anni avanzata nei suoi confronti dalla Digos. Ed il tribunale presieduto dal giudice Fabio Roia ha praticamente smantellato le accuse contro Piovella. Il periodo di sorveglianza speciale viene dimezzato, un anno e sei mesi. Ma soprattutto viene ridimensionato il ruolo di Piovella nei fatti di Inter-Napoli e più in generale negli equilibri della Curva.

Secondo il decreto firmato da Roia, le accuse mosse a Piovella derivano da una lettura approssimativa, a volte forzata e in qualche passaggio del tutto errata delle accuse lanciate da Da Ros. In realtà, si legge nel decreto, dalla lettura testuale dei nastri dell'interrogatorio si scopre che «né Da Ros né alcun altro afferma di avere avuto precisi ordini sulle modalità di aggressione da parte di Marco Piovella. Nessun elemento di prova conforta la tesi secondo cui (Piovella, ndr) avrebbe personalmente organizzato l'assalto, partecipato al medesimo per di più con un ruolo decisivo». Da Ros avrebbe visto Piovella solo al baretto davanti a San Siro: «Non ha più visto Piovella né presso il pub Cartoons (da cui partì la spedizione contro i napoletani) né sul luogo degli scontri».

Ma il Tribunale va più in là, analizzando il curriculum da ultrà di Piovella, e scrive che i suoi precedenti violenti in realtà non esistono: dai razzi contro Dida durante il derby di Champions è stato assolto, una «rissa» davanti ai cancelli in occasione di Inter-Juve fu un episodio di poco conto «senza danni a persone o cose». E gli striscioni «provocatori e offensivi» che avrebbe esposto durante il derby del gennaio 2012 contenevano solo «innocui sfottò».

Il Tribunale non nega che Piovella sia una «figura carismatica» in curva, e che questo lo renda moralmente compartecipe dei fatti. Ma nessun indizio lo lega direttamente agli scontri. Per l'inchiesta della Procura, è una bocciatura esplicita.

E ce n'è anche per la Digos, che non ha portato elementi di conoscenza della struttura della curva: «Probabilmente a causa di un momento di stasi nella necessaria struttura di conoscenza dei movimenti della tifoseria».

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