Cronaca locale

Aborto del feto sano, il giudice: forse errori nell'etichettattura delle provette

Le motivazioni della sentenza con cui il tribunale ha assolto i medici dell'ospedale San Paolo: «Un fatto inquietante, ma le colpe non sono ascrivibili agli imputati»

È possibile che alla base dell'errato aborto selettivo eseguito all'ospedale San Paolo su un feto sano e non sul gemellino affetto dalla sindrome di Down come volevano i genitori ci sia la precedente confusione nell'etichettatura delle provette di liquido amniotico con cui era stata fatta la diagnosi. Lo scrive il giudice Anna Conforti nelle motivazioni della sentenza con cui lo scorso 14 dicembre ha assolto le due dottoresse che avevano eseguito l'interruzione di gravidanza, ai senso della vecchia insufficienza di prove. «È emerso in dibattimento che, in realtà, un fatto inquietante si era verificato nel corso dell'amniocentesi - scrive il magistrato nel documento -, ma è provato che le imputate non ne erano venute a conoscenza prima dell'aborto selettivo». A eseguire l'amniocentesi era stato un altro medico, che però non aveva eseguito l'intervento perché obiettore di coscienza. Nelle cinquanta pagine che motivano le assoluzioni dei medici Annamaria Marconi e Stefania Ronzoni dall'accusa di aborto colposo e del direttore sanitario Danilo Gariboldi da quella di omessa denuncia, Conforti ricostruisce sulla base delle prove acquisite nel processo tutta la vicenda che nel 2007 aveva portato una coppia di 38 anni a decidere di abortire uno dei due feti, entrambi femmine, perché affetto da trisomia 21, e che però si era conclusa con l'erronea soppressione della gemellina sana. Nel farlo, cerca invano di dare una risposta alla domanda: chi ha sbagliato? Così Conforti sottolinea che durante il dibattimento in effetti la paziente ha riferito una circostanza «inquietante». La dottoressa che l'8 maggio 2007 aveva eseguito l'amniocentesi, riporta, «nel consegnare il liquido amniotico estratto, aveva pronunciato ad alta voce la frase "Sinistro... no scusa destro!!!"». Il marito, presente all'esame, ha confermato la testimonianza, aggiungendo che era stato l'assistente a far notare la cosa alla dottoressa, chiedendole: «Allora questo è il sinistro!» E lei aveva risposto: «Sì allora quello di prima era il sinistro». Addirittura secondo i coniugi a un certo punto la dottoressa aveva esclamato: «Non ci capisco più niente». Il medico in questione non è mai stato indagato perché non aveva praticato l'aborto selettivo, ma aveva confermato la circostanza, asserendo che di fatto non si era determinato alcun equivoco motivo per cui non aveva comunicato la cosa a nessuno. E lo stesso consulente del pm è tornato sull'episodio, quando dal banco dei testimoni ha dichiarato: «C'è stata in un qualche momento una confusione di questi feti probabilmente nel momento in cui sono stati fatti i prelievi c'è stato forse un errore di etichettatura». Comunque siano andate le cose, commenta ora il giudice, è vero che «l'anomalia resta». Ed è vero anche che «l'obbligo di rispetto delle norme cautelari gravava, in realtà, su (questo medico, ndr) quanto e forse più che sulle colleghe subentrate dopo che la stessa aveva svolto uttti gli accertamenti (...) peraltro incorrendo nell'errore verbale di cui si è detto e di cui aveva taciuto il verificarsi». Ma è anche stato accertato, chiude, che le imputate fossero «totalmente all'oscuro dell'episodio di cui si è detto (...). E dunque, in assenza di segnali di anomalie, l'affidamento delle due imputate sulla correttezza dei dati loro forniti è da ritenersi pienamente legittimo». Di qui le conclusioni di Conforti: «Al termine del percorso argomentativo fin qui svolto sulla base dei dati processuali acquisiti, deve concludersi che: un errore vi è sicuramente stato nella procedura che si è conclusa con la soppressione del feto euploide al posto di quello affetto da trisomia 21; nessuna certezza è stata, invece, raggiunta in ordine al momento in cui tale errore si è verificato e alle cause che lo hanno determinato». In particolare, prosegue, «nessuna certezza deriva dalle risultanze processuali circa l'effettivo spostamento dei due feti nel periodo intercorso fra l'amniocentesi e l'aborto selettivo, mancando addirittura un'evidenza scientifica che l'avverarsi di una simile ipotesi fosse possibile nella situazione data». Ipotesi, questa, che era stata presa in considerazione dalla Procura, lamentando che i medici avrebbero potuto fare un ultimo controllo sull'identità dei feti poco prima di operare. Tuttavia, per Conforti, anche «l'esperimento di una procedura rapida di controllo, oltre ad aumentare sensibilmente il rischio di perdita di entrambi i gemelli - alla cui neutralizzazione era finalizzata, per scelta della (paziente, ndr) la procedura dell'aborto selettivo - non avrebbe potuto comunque escludere il rischio che lo scambio di posizione dei feti, ove possibile, avvenisse nel lasso di tempo necessariamente intercorrente fra il prelievo e l'intervento». Sulla base di quanto detto, secondo il magistrato «consegue che manca la prova della rispondenza della condotta ascritta alla Marconi e alla Ronzoni al paradigma della colpa». Quindi entrambe «vanno assolte a norma dell'articolo 530 secondo comma perché il fatto non costituisce reato», ovvero la vecchia insufficienza di prove.

Assolto anche il direttore sanitario «perché manca la prova certa della sussitenza del dolo» nell'essersi sottratto dall'obbligo di denuncia.

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