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Addio Camicia il Carosio che lanciò il golf

Addio Camicia il Carosio che lanciò il golf

Sinatra era “The Voice” quando cantava sui palcoscenici del mondo. Carosio era “La Voce” regalata dalla radio nei giorni delle storiche cronache che accompagnavano, scandendone ritmi e personaggi, le grandi partite di calcio. Camicia era “La Voce” che ha divulgato il fascino e i segreti del golf rendendone a mano a mano partecipe un pubblico, quello italiano, da sempre tifoso e professore di pallone molto più che di buche e di bastoni.
Nicolò Carosio e Mario Camicia, due amici-maestri che io ebbi la fortuna d’incontrare e di conoscere tra una postazione radio e uno spogliatoio, tra un “green” e una Club House. Erano diversi, eppure il loro carisma li avvicinava. Carosio il sergente che intimava un «alzarsi e camminare!» al calciatore che simulava di avere subito un fallo. Camicia il cantore colorito, allegro e pur severo delle imprese dei Molinari, di Manassero e degli altri golfisti che anche lui, forse senza darsene conto, con i suoi accenti romaneschi alla Gigi Proietti, aveva aiutato a figurare e a crescere.
Quando Carosio entrava negli spogliatoi prima delle partite, i giocatori che stavano seduti sulle panche preparando scarpe, maglie e calzoncini, si alzavano rispettosi in piedi. Allorché Camicia lasciava la sua postazione-Tv e incrociava i campioni del golf non soltanto nostrani, questi, come minimo, abbozzavano un inchino.
Con Mario, giornalista-scrittore e inimitabile commentatore televisivo, ho avuto un rapporto particolare, quello che si instaura tra un ignorante e un insegnante. Ricordo che un giorno ormai lontano io stavo al mio tavolo nella redazione sportiva del Giornale. Qualcuno mi passò un articolo di un paio di cartelle (allora i computer erano ancora all’orizzonte). La firma era di Camicia. Io cominciai a leggere e ogni tanto trovavo scritta la parola “par” che non capivo cosa significasse. Decisi allora di chiamare Mario. Gli esposi le mie perplessità e lui scoppiò a ridere. «A Carlé, il par 3, par 4, par 5 sta a dì’ il numero dei colpi prescritti per quella buca. Non lo dimenticare, Carlé!». Dal suo tono mi sembrava di capire che lui stava ridacchiando di me. Ma il tono era tutto meno che insolente. Era un po’ quello che vale una pacca sulla spalla, bonaria, serena.
Non immaginavo allora che lui sarebbe diventato il grande ispiratore editoriale di uno sport che stava faticosamente facendosi un pochino di largo nelle simpatie italiane, l’uomo che il Giornale deve nella sostanza riconoscere quale fondatore della pagina settimanale di golf per lunghi anni pubblicata.
Tra una sigaretta e un goccetto, Mario (ottimo golfista specialmente in gioventù) era fonte generosa di proposte, di idee. E, almeno per quanto mi riguarda, era schietto e leale sino all’incredibile. Una volta era scoppiata una specie di baruffa giornalistica scatenata da certe riviste che si ritenevano in qualche modo offese da un particolare accordo pubblicitario ottenuto da un quotidiano per il quale io scrivevo. Ebbene Mario scrisse al proposito un articolo in cui tra l’altro diceva «… giù le mani da Grandini. Lui non c’entra. Cambiate obbiettivo…». Non appena lo incontrai, lo ringraziai ma lui fu breve e incisivo. «Carlé, io so quello che faccio e conosco le persone che meritano la mia stima».
Sapeva scrivere e farsi seguire. Tuttavia la sua dimensione più unica e rara rimarrà legata a quel microfono di Sky (che oggi gli dedicherà uno speciale di un’intera giornata su Skysport 3), spartito con Grappasonni e altri tecnici, che Mario impugnava per descrivere le vicende, anche umane, e le imprese dei golfisti in gara non importa dove: America, Europa, Australia, Regno Unito… Al Grappasonni tecnicamente ineccepibile, Camicia si aggiungeva e a tratti si sovrapponeva quale super conduttore con certe battute goliardiche tutte sue. Ed è così che riusciva a trattenere davanti ai televisori, non soltanto dei circoli di golf ma pure dei comuni nostri salotti, anche gli spettatori e le spettatrici non troppo a conoscenza dei giochi e talora dei giochetti che accompagnano chi va dal “tee” (area di partenza) alla bandiera di quella buca. Storico del golf, Mario ogni tanto – ma raramente – sbagliava in telecronaca un riferimento. Però subito se ne accorgeva e chiedeva scusa. Di ciò, nel nostro mestiere, quanti sono capaci?
Ora se n’è andato nel silenzio impostogli da un perfido destino.

Ci resteranno per sempre la sua voce e il suo insostituibile profilo.

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