Cultura e Spettacoli

Addio Raimondo, tutti in fila per Vianello con un sorriso triste

Nella camera ardente allestita nello studio tv di Cologno Monzese dove l’artista era andato in scena per quasi trent’anni sono entrati migliaia di fedelissimi del suo pubblico. Fra la folla anche tanti colleghi. Pier Silvio Berlusconi si commuove

La morte, a volte, non pretende lacrime. Le basta un sorriso. Purché garbato, contenuto, di misura. E ieri, a dettarne i tempi e i modi alle migliaia di persone accorse a rendergli omaggio, è stato ancora una volta lui, Raimondo Vianello, inimitabile Gran Maestro di un umorismo perduto, senza doppi sensi o volgarità. Dietro la sua bara chiusa, in legno biondo, priva di fronzoli e assediata soltanto dai fiori, scorrevano infatti su un grande schermo le immagini mute di una lunga carriera scolpita in quella pietra rara chiamata dignità. E per sentirsi meglio, bastava specchiarcisi dentro. Il resto, nella camera ardente improvvisata nello studio 4 di Mediaset, a Cologno Monzese, lo stesso scatolone di mattoni rossi, quasi da archeologia industriale, dove per quasi un quarto di secolo lui e Sandra Mondaini hanno messo in scena per noi tutti, pubblicamente, il privatissimo segreto della loro arguta e battibec- cante armonia di coppia, erano soltanto le note degli «adagi» di Albinoni e Samuel Berber. Musiche quiete, che assomigliavano a Raimondo. Ma era anche lo sfondo di un cielo televisivo, di un azzurro assoluto, senza nuvole, steso lungo le pareti grazie alla magia di un grande telo, come si addice all’artificiosità di una fab-brica dei sogni. E lo si è capito fin dal primo mattino che a tanti, a molti italiani, basti ancora poco per sognare, perfino in quell’angolo di periferia privo di grazia, stretto com’è tra i capannoni e il traffico distratto della tangenziale. Quel suo pubblico di fedelissimi, fan irriducibili del «che barba che noia, che noia che barba», si è messo in coda silenzioso. Ordinato, ma senza bisogno di ordini. Sfilando poi a migliaia per ore, dalle 11 alle 20, davanti alla bara. Quasi riconoscendosi in quegli spezzoni filmati, testimonianze indelebili di un sorriso che nessuno di loro potrà mai dimenticare. Non lo farà, di certo, uno come Matteo Fucci, omone in giacca a vento, il primo a entra re nella camera ardente. È arrivato qui da Bernareggio, alle 7, che era ancora buio. E ha atteso paziente per quattro ore l’apertura dei cancelli. «Quando ho saputo della notizia ho pianto, perché con Vianello ci sono cresciuto insieme, fin da bambino», ha ammesso con gli occhi un po’ gonfi, ma che da bambino gli sono rimasti. E a specchiarsi in quell’ironia filmata, muta ma amplificata proprio dall’assenza del sonoro, sono arrivate tra le prime anche le sorelle Donata e Anna Orlandi, capelli bianchi e occhi arrossati, costumiste di Sandra e Raimondo per venticinque anni. «Come lui non ce n’è e non ce ne saranno mai», hanno detto. Poi un gesto fuggente della mano, quasi un saluto rassegnato al cielo. E poi, come gli altri, via di nuovo verso casa, verso una vita che ora sarà più vuota di prima. Poi, sono arrivati via via anche i personaggi famosi. Colleghi e dirigenti, artisti e conduttori. Da un commosso Pier Silvio Berlusconi (papà Silvio parteciperà stamattina alle 11 ai funerali nella chiesa di Dio Padre di Milano 2, voluta dalla Mondaini perché considerata «quella di casa», declinando così l'offerta di celebrarli in Duomo) a un insolitamente taciturno Piero Chiambretti; dal fotografatissimo gran ciambellano del gossip, Alfonso Signorini, a un quasi pietrificato Don Mazzi; da un del tutto inatteso Luciano Moggi, ex direttore generale della Juve, all’antico compagno di lavoro, il ragionier Enrico Beruschi, la cui maschera sghemba, buffa e triste, sembrava però piegarsi ieri soltanto verso la sua seconda metà. Eppure i veri protagonisti, al- meno per un giorno, non sono stati loro. Non c’erano del resto nemmeno i volti annoiati dell’Italia dei salotti, bensì quelli normali del Paese dei tinelli, degli arredi «in stile» costruiti attorno allo schermo tv, antidoto alla solitudine ben prima che si inventassero le badanti. A sfilare qui è stata l’Italia dei mobili-vetrinetta con i bicchieri del servizio buono lasciati in vista, dei centrini sparsi un po’ dovunque per non rigare il legno e dei ritratti di Padre Pio. Un’Italia spesso con tanti problemi e forse con troppi pochi soldi. Ma che con poco, con molto poco, sa ancora come dare corpo e vita ai propri sogni.

Basta un sorriso al posto di una lacrima.

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