Controstorie

Addio spaccio e illegalità Fioriscono i cannabis club

A scopo terapeutico o ricreativo poco importa Nelle città spagnole è nata una nuova tendenza

Roberto Pellegrino

da Barcellona

Se chiedi informazioni per la arrivarci, la gente del quartiere ti guarda come se avessi chiesto la strada per l'armeria di fucili Stupore, sospetto e teste che dicono no. Eppure i Cannabis Social Club (CSC) nella città di Antoni Gaudí sono una realtà, un grande successo tra gli amanti dell'erba legale. Dopo l'esempio catalano, hanno aperto a Madrid, Bilbao, Salamanca, Valencia e nelle isole ingolfate di turisti. Sono centri ricreativi gestiti da soci che possono consumare per uso ludico e terapeutico, liberamente marijuana e hascisc. Sono sorti, moltiplicandosi nel vuoto legislativo, sia del governo centrale di Madrid che di quello delle comunità .

Ma per molti spagnoli la percezione dei CSC è confusa, spesso sbagliata. Nei club non si va per sballarsi, per quello ogni maggiorenne può comprare una bottiglia di whiskey o una collezione di pastiglie a base di anfetamina illegalmente per strada. Gli utilizzatori dei CSC non cercano lo sballo, sono trentenni, quarantenni e cinquantenni, alcuni sposati, con una cultura medio alta e nessun precedente penale.

Non è facile trovarli, nemmeno quando ti hanno spiegato bene la strada. Non hanno insegne, né nomi sul campanello, da fuori sembrano negozi dismessi. Alcuni sono camuffati all'interno di centri commerciali o piazze turistiche. Pochi fanno pubblicizzano il club, meglio il passa-parola. Meglio navigare nella tra il pulviscolo del «non so».

Poi, quando ci entri, comprendi perché non sono e non potrebbero essere luoghi oscuri ubicati in malfamate periferie col rischio di essere rapinati dallo stesso spacciatore che ti vende il fumo. Nulla di questo. Nel Caval, quartiere multietnico con una forte impronta araba, al secondo piano, senza ascensore, un appartamento dei primi del Novecento è un club dove fumare in tranquillità. Volti accoglienti, luci soffuse, aria condizionata non aggressiva. Il socio mostra la tessera ed entra, al giornalista è concesso di guardare, ma non toccare. Attorno ambienti confortevoli, divani abbondanti, tavolini puliti con posaceneri, scaffali carichi di tanti libri in materia, ma anche di viaggi. Un tv da 40 pollici e tanti dvd («Qualche socio viene anche soltanto per vedersi un film»). In un angolino, persino un frigorifero con bibite a base di aloe a marijuana. Nell'aria il brano, molto distensivo, Put it on di Bob Marley. I soci sorridono, hanno varie età, tra i trent'anni e i cinquanta, accomunati dalla voglia di fumarsi uno spinello in tutta calma, lontano da occhi indiscreti. Le regole? Poche, ma semplici: ogni socio deve avere almeno 21 anni, deve risiedere in città, avere un lavoro, e pagare una quota annua che copre le spese di mantenimento del club e di produzione della marijuana da utilizzare tra soci. Cifra che va dai 20 ai 60 euro al mese e che garantisce una certa quantità annuale di erba a scelta da fumare o custodire, soltanto nel club. Vietato regalarla o venderla, dentro e fuori l'associazione, vietato aprire ai turisti o a chi vuole solo provare e non è un abituale. Ogni violazione comporta l'espulsione dal club e, qualche volta, la denuncia alle autorità.

A pochi passi dalle ramblas degli sanguinosi attentati islamisti, dal 2006 c'è un altro club, con qualche italiano. «Dodici anni fa eravamo sette amici, tutti abituali fumatori di cannabis», spiega uno dei soci fondatori. «Volevamo un luogo tranquillo e intimo dove farci un porro (uno spinello, ndr), ma soprattutto avevamo il desiderio di produrre noi stessi la marijuana, perché stanchi di erba troppo costosa e di cattiva qualità. Oggi siamo quasi mille soci che coltivano e consumano un ottimo prodotto naturale a un costo trasparente. Abbiamo una lista di attesa lunghissima per i nuovi iscritti e al momento diamo priorità a chi è in terapia». Anche qui c'è un ambiente caldo e famigliare, pulito, da circolo privato. Divani per rilassarsi, tavolini con carte da gioco, una macchinetta del caffè. «C'è chi viene anche per lavorare al computer, per leggere un romanzo, fare due chiacchiere. Qui si fa un uso responsabile, la quantità è modica per tutti.

Il costo annuale dell'abbonamento varia tra i club, la «consumazione», il prezzo dell'erba, va dai 6 ai 9 euro al grammo, mentre per quanto riguarda l'hashish si trovano estratti di tutte le qualità e di tutti i prezzi. Nella quasi totalità dei club visitati, non è mai successo nulla di illegale. Nemmeno una lamentela dei vicini per chiasso. Si cerca di non attirare troppo l'attenzione. A Barceloneta, ex quartiere di pescatori, ora ci sono gli hipster. «Sono molti i turisti che vogliono iscriversi, ma a tutti diciamo no. Se fosse permesso, Barcellona diventerebbe come Amsterdam», spiega Josep, biologo marino. «Se vendi ai turisti, il Comune ti chiude. Ne ha chiusi una ventina in pochi anni».

E anche se «In Spagna c'è il fai da te», ricorda Paolo, designer, «con tre soci apri l'asociación cannabica, paghi la tassa comunale, ti registri all'agenzia delle entrate che vede gli iscritti, il bilancio e i libri contabili in Italia c'è l'uso terapeutico, ma il consumo è limitato e clandestino che, regolarizzato, cancellerebbe lo spaccio».

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