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Come adorano (s)vestirsi i Grandi della Terra

La Rice piaceva da pazzi in versione sadomaso, la Merkel ha lanciato la moda dei fuori moda, la Timoshenko è la regina del pizzo nero. Ognuno ha le sue ossessioni: Ahmadinejad la barba curata. I più chic? Sono sempre gli ayatollah

Come adorano (s)vestirsi i Grandi della Terra

Sarà che il sangue blumarine nelle vene aiuta, sarà che l'abito gli serve per far uscire l'Afghanistan dal Medioevo, sarà che devi sempre farti un po' notare specie se vai in società a chiedere favori, ma Hamid Karzai oggi è per definizione di Tom Ford, marchio Gucci, «l'uomo più elegante del pianeta». Un'insospettabile fashion victim che fa tendenza per la varietà dei cappelli, per i mantelli che cambia non a seconda delle stagioni ma delle regioni, delle etnie che visita, come dire, vedete, metto i vostri colori, i vostri tessuti, le vostre fogge, fidatevi, sono uno di voi. Lui di suo adora cappelli di astrakan, tuniche verdi e camicie chiuse al collo stile industan, ma fa la sua figura anche per la disinvoltura con cui porta a spasso maniche troppo lunghe o inguardabili berretti di pelliccia. Unico capriccio: non ha vietato il burqa alle donne afghane. Sennò è la volta che lo conciano per le feste.
Ayatollah, ma alla moda. Più che l'arsenale missilistico è il suo guardaroba che fa paura. Labbaadeeh di tutti i modelli, uno più bello dell'altro, per tutte le occasioni, religiose e no. Mohammed Khatami, ex presidente dell'Iran, ha sempre adorato Allah ma anche il retro chic: il labbaadeeh è l'abito più costoso, lungo fino alle calze, con il collo alto e rotondo, le maniche strette e i pannelli rigidi sul petto. Fa a gara in passerella con l'ayatollah Khamenei che predilige la qabaa, scollo a V e lembi che si incrociano in vita, look un po' dandy ma che scatena a ogni cambio di stagione commenti e pettegolezzi nei salotti che contano. Perché, islam o no, sono pochi i clerical iraniani che non seguono la moda. L'abito non farà il monaco. Ma il mullah...
Vestiti, usciamo. Ognuno ha le sue piccole debolezze. Mahmoud Ahmadinejad, che si è definito «lo spazzino delle strade della nazione iraniana» e che come tale si è sempre vestito,diventa matto per la barba che pretende curatissima e tagliata mai troppo lunga e mai troppo corta. Tony Blair, mica per niente ha una moglie pizzicata a spendere 7.700 sterline dal parrucchiere, ha invece l'ossessione dei capelli:una volta uno shampoo per tingerli sbagliato trasformò la sua testa in un arcobaleno di sfumature alla Solange. Non uscì di casa per settimane. Capricci o no i potenti fanno moda come le rockstar e non soltanto perchè si chiamano Carla Bruni. Il giubbotto di Ahmadinejad va fortissimo in Medio Oriente, la camicia rossa e blu di Morales in Sud America, il pakol, il berretto di lana dei mujaheddin, di Karzai va ovunque lo metti. Per non parlare di Nelson Mandela, le cui ricamatissime tenute batik, simbolo di libertà del Sudafrica, hanno dato colore alla gente di colore, e di Gheddafi che sui mantelli, lui che ha molto da nascondere, non ha rivali al mondo. E se ci sono gli evergreen come il grigioverde guerrigliero di Fidel Castro, anche se per l'appuntamento con il Papa si buttò senza inciampare su un abbagliante completo azzurro, c'è chi cambia collezione a seconda di come tira il vento. Zapatero da quando è al potere, si è dato ai completi di tonalità scure per trasmettere sicurezza ed eleganza, Lula si è visto contestare dallo zoccolo duro del partito, che lo preferisce sindacalista nella forma oltre che nella sostanza, non appena ha cercato di raffinarsi quel tantino nel vestire. Gli hanno fatto capire amuso duro che con la moda era meglio ci desse un taglio.
Figurini e figuracce. Di certo sbagliare abito può costare più caro che comprarsene uno. Dick Cheney si presentò al 60mo anniversario dalla liberazione dei campi di concentramento con il tipo di vestito che si usa per spalare la neve. Mentre tutti i presenti indossavano abito scuro e scarpe eleganti, il vice presidente americano aveva addosso anorak verde con cappuccio di pelle, stivali marrone e cappello da eschimese. Volevano deportarlo direttamente sul posto. E, al contrario, in un G8 Chirac, non avvertito a dovere, fu l'unicoa presentarsi impeccabile in giacca e cravatta rossa appena stirata mentre tutti gli altri erano in jeans e camicia. Avesse trovato una colonna avrebbe fatto anche meglio di Zidane. Per non dire della presidentessa cilena Michele Bachelet che da ministro della Difesa passò in rassegnale truppe con un paio di deliziose pantofoline rosa ai piedi, ideali per fare pandant con gli anfibi dei soldati. o di Condoleezza Rice che una volta atterrò all'aeroporto militare di Wiesbaden, in Germania, in versione sexy «Matrix»: la comunità sadomaso andò in sovraeccitazione. Gonna stretta sopra il ginocchio, cappotto lungo sigillato da sette bottoni d'oro, e stivali con tacco alto e sottile. Dominatrix, come la ribattezzò il Washington Post tirò subito su il morale della truppa e segnò un'inversione di tendenza. Perché dietro quella metamorfosi c'è un corpo d'élite di esperti di look, teste di cuoio ma cotonate, che hanno programmarono per lei un'«offensiva dello charme» che le valse da Vanity Fair il titolo di donna più elegante del mondo dopo Kate Moss.
La rivoluzione di Angela. Fino a ieri la prendevano in giro tutti, come la compagna di classe secchiona, fuorimoda ed extralarge, che fai finta di non conoscere quandola porti alle feste di classe. Per le sue giacche troppo lunghe, per le sue scarpe troppo basse, per le sue collane troppo kitsch. Per cui figuratevi l'invidia delle amiche quando Wolfgang Joop, uno degli stilisti più raffinati del mondo, ha scelto proprio lei, Angela Merkel, come nuova musa. Le ha dedicato una collezione autunno-inverno, sobri abiti-pantalone, camice ben tagliate, vestiti classici da sera e mezzasera. Lei che sembrava fuorimoda adesso detta la moda. Dice Joop: «Mi sono ricordato dei vestiti della mia infanzia e di quello che mi diceva la nonna: véstiti ordinato». Di questi tempi, si sa, ci vogliono spalle larghe. Meglio se sono imbottite.
Le passioni di Yulia. Yulia Timoshenko portava la giacca di pelle nera come i vecchi commissari bolscevichi quando guidava la folla all'assalto del tiranno Kuchma, tailleur rosa pastello stile Jacqueline Kennedy quando diventata premier viaggiava per summit internazionali, abitino grigio con maniche a sbuffo e vita stretta da maestrina dell'Ottocento quando chiese al parlamento il voto di fiducia per guidare il governo. Poi si voltò e l'emiciclo fu folgorato dalla sua schiena fasciata di pizzo nero fino a dove non osava neppure l'immaginazione. L'hanno definita un incrocio tra Chanel e borsch, la tipica minestra ucraina, ma la sua pettinatura da contadina con la treccia che danza intorno alla testa ha fatto scuola. E pazienza se il sole dell'avvenire è tramontato. Ci si può sempre consolare con la luna nel pizzo..

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