Politica

Affari loro

L’acquisto di Endemol spinge finalmente Mediaset verso quella internazionalizzazione che da tempo inseguiva: entra nell’orbita del cosiddetto «sistema Italia» un’azienda che opera in venticinque Paesi e cinque continenti. È un fatto di cui il Paese deve rallegrarsi perché Mediaset rappresenta un pezzo importante della nostra storia industriale. La storia di un pioniere, Silvio Berlusconi, che trent'anni fa decise di scommettere su un settore che oggi è ad alto contenuto tecnologico e culturale.
Nella società globale il settore dei mass media è quello di gran lunga più permeabile alla tecnologia, all'innovazione e alla competizione. Le piattaforme su cui far viaggiare i contenuti sono molteplici, il pubblico è sempre più sofisticato, la richiesta di notizie e entertainment va verso una personalizzazione di cui non si conoscono i confini. Il pervasive computing e la filosofia del real time hanno riempito le nostre vite di oggetti interattivi che ci accompagnano. Il pubblico non è più soltanto quello seduto nel salotto di casa, ma è ovunque. Per queste ragioni è un fatto naturale che Mediaset sia approdata all'acquisto di Endemol, la prima «fabbrica» europea di contenuti per il mondo multimediale. Il gruppo del Biscione marcia così sulla strada della diversificazione mantenendosi nello stesso tempo fedele al suo core-business. La rivoluzione digitale in realtà è appena cominciata e i suoi orizzonti sono vastissimi.
Tutto questo dovrebbe esser salutato come un successo, ma la politica del nostro Paese è affetta da miopia cronica e non vede questi orizzonti. Anche chi si rallegra per l’operazione d’acquisto, un istante dopo punta il dito sul «gigantismo», sul fatto che Endemol è un importante fornitore di contenuti anche per la Rai e per sillogismo giunge alla conclusione che il Cavallo di Viale Mazzini ora dipenderà dalla biada che il Biscione vorrà dargli. Un’operazione di mercato condotta all’estero, in Italia viene letta subito con gli occhialini distorti della politica. Il presidente del Consiglio Romano Prodi ha strumentalizzato questa vicenda per giustificare l’intervento a gamba tesa di Palazzo Chigi sul consiglio d’amministrazione della Rai, la lettera di sfiducia del ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa al consigliere Rai Angelo Petroni. Un atto grave e senza fondamento giuridico che per Prodi invece ha «ragioni che vengono dimostrate o riconfermate da questa operazione. Una parte si rafforza e l’altra è ingessata da una sostanziale ingovernabilità dell’azienda». Prodi dimentica di dire che il problema della Rai non è nella sua governance in quanto tale, ma negli sconfinamenti della politica e di quel governo che in poco meno di un anno ha lottizzato l’inimmaginabile. E non parliamo solo dell’informazione.
Se Mediaset acquista Endemol, la Rai deve porsi il problema di come stare sul mercato contemporaneo dell’audiovisivo. L’azienda non può ragionare secondo angusti schemi politici, ma economici, tenendo conto della missione delicata che le è affidata per statuto: il servizio pubblico. Il capitalismo produce i suoi anticorpi, se un’azienda è malata prima o poi muore, questo non sembra accadere per la Rai che sopravvive a se stessa, abita un mondo antico e pretende che anche gli altri si adeguino agli stessi usi e costumi. Non è possibile. Se stanno sul mercato, le aziende sono autonome, se sono quotate, hanno un’iniezione vitale di democrazia e rispondono del loro operato agli azionisti e come fine hanno la distribuzione di utili. È questo che ha fatto di Mediaset un gruppo editoriale polifonico, questo continuerà a fare di Endemol - come ha sottolineato Fedele Confalonieri - un fornitore di contenuti universale, per tutti.
In realtà, il retropensiero della politica è che oltre al mercato e alla trasparenza, conditio sine qua non per operare, vi siano altri strumenti per condurre le imprese: leggi ad hoc e - nel caso di Silvio Berlusconi e Mediaset - leggi ad personam. Il destino ha voluto che proprio mentre Mediaset incassa un successo internazionale, oggi sbarca in aula a Montecitorio il disegno di legge sul conflitto di interessi. Un provvedimento di stampo draconiano che offre a Berlusconi la seguente opzione: tenersi l’azienda e lasciare la politica, lasciare l’azienda e tenersi la politica.
Colpisce la contraddizione per cui questo governo appoggia le fusioni bancarie e la creazione di grandi gruppi europei competitivi, e non usa lo stesso criterio per altri settori. La verità è che si vorrebbe condannare la Rai a stare sotto il giogo della politica e impedire a un’azienda privata di espandersi secondo le regole del mercato.
Siamo al governo che si fa gli affari suoi e alla politica che si fa gli affari tuoi.

Per fortuna, il cittadino-elettore ha ancora in mano il telecomando.
Mario Sechi

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