Rubrica Cucù

Aiuto, il '68 ha fatto danni anche all'arte

L'utopia del ’68: la pretesa di vivere la vita, il corpo, l’amore, i rapporti sociali, da artisti (autoproclamati). Il ri­fiuto della norma e della realtà. Col risul­tato di non produrre grande arte, ma di lasciare gravi danni al patrimonio

Aiuto, il '68 ha fatto danni anche all'arte

È bello andare ad una mostra che ci rituffa nel passato e non provare nes­suna nostalgia del tempo andato. Cer­to, nostalgia biologica della nostra ado­lescenza, ma nessun rimpianto di que­gli anni cupi, di cui tornano i fantasmi tra minacce, bossoli, gambizzazioni e golpe rossi ma stavolta poliziesco-giu­diziari.

A Milano, al Museo del Novecento, è tornato ieri in mostra il ’68 e il suo codaz­zo triste degli anni ’70. È tornato sulla punta dell’arte, per fortuna, e non del­l’ennesimo vintage sessantottardo. I fer­menti sono copiosi, i risultati sono scar­si. Sembrava che dovesse venire giù il mondo, invece l’arte fu stitica; in com­penso il ’68 fu una lunga diarrea, logor­rea e gonorrea. Ma in quell’aborto d’arte c’è la scatola nera del ’68: perché il ’68 è un artista fallito che si rivale sulla vita. Pensate agli slogan e ai mantra del ’68: immaginazione al potere, sprigionare i sogni e la fantasia, liberiamo il desiderio e la creatività.

È il sogno di una vita esteti­ca dominata dall’arte e dal piacere. I suoi precedenti furono il futurismo e il surrealismo, e da solisti (salvo a Fiume) il dannunzianesimo. Ma lì c’è pure la sua dannazione: i sogni tradotti in arte possono produrre capolavori; tradotti in storia e ridotti in politica si fanno incu­bi. Se restano liberi, fluttuanti e persona­li ti fanno volare, se diventano coatti, ide­ologici e collettivi fanno sprofondare. Se imponi agli altri di sognare i tuoi sogni e alla realtà di viverli, sono dolori per tutti e frustrazioni per te. La creatività è gran cosa nell’arte e nella vita della mente, di­venta sciagura se vuol farsi canone socia­le e vita quotidiana. La fantasia produce opere d’arte, raramente opere pubbli­che socialmente utili. E la mano creativa si chiuse in un pugno.

Questa fu l'utopia del ’68: la pretesa di vivere la vita, il corpo, l’amore, i rapporti sociali, da artisti (autoproclamati). Il ri­fiuto della norma e della realtà. Col risul­tato di non produrre grande arte, ma di lasciare gravi danni al patrimonio. Scuo­le, famiglie, costumi e società portano ancora le ferite dell’artista fuggito nudo dall’arte, in evidente stato d'ebbrezza.

Sfumò l'artista e si fumò il cervello.

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