Economia

Aiuto, il made in Italy è in pericolo: non ci sono più artigiani

I giovani preferiscono gli uffici ai laboratori E per molte aziende è più facile trovare un laureato che una sarta. Così, da Gucci a Prada, tutti i grandi gruppi del lusso creano le proprie scuole d'arte Per tramandare gli antichi mestieri

Aiuto, il made in Italy è in pericolo: non ci sono più artigiani

Aaa talenti italiani cercansi. Cercansi maestri d'arte d'eccellenza, artigiani illuminati, creatori di bellezza in grado di salvare il mondo del lusso. Un mondo che ha un nemico silenzioso, più pericoloso della contraffazione, delle brutte copie made in China e della crisi: gli artigiani d'alta gamma in via di estinzione, quelli del made to measure , del fatto su misura alla maniera di tanto tempo fa.

Il pericolo cresce, di anno in anno, di generazione in generazione. C'è una maestria all'italiana da salvaguardare, quella che ancora oggi attira le maison straniere del superlusso pronte ad «emigrare» nel nostro Paese pur di aver garantito il nostro artigianato d'alta gamma. Come Christian Dior Couture che in questi anni ha aperto insediamenti produttivi, in Toscana per la pelletteria e nel Veneto per le calzature, proprio per contare sull'italico savoir faire : «In Italia si sono conservate, grazie alla tradizione familiare, grandi capacità, e si è saputo tramandarle fino a oggi. Insomma, per fare il bello ci vuole la mano italiana», ha detto più volte Sidney Toledano, presidente e ceo di Dior Couture che da sempre punta sul savoir faire dei nostri artigiani. Come Louis Vuitton che ha aperto a Fiesso d'Artico, sulle rive del Brenta, tra Padova e Venezia, la sua Manufacture de souliers con ufficio stile, laboratori di produzione per scarpe di lusso, pezzi unici da vendere in tutto il mondo, e un centro di formazione che collabora con le scuole locali e offre ai nuovi assunti cento ore di formazione l'anno per un periodo che va da trentasei ai sessanta mesi: in questi modo Vuitton attinge ai pellettieri della regione salvaguardando l'eccellenza del marchio e contribuendo a tutelare un patrimonio di competenze artigiane tipiche venete risalenti al tredicesimo secolo.

Una filosofia economica manageriale cosiddetta glocal , dove il locale diventa globale, che nasconde le parole d'ordine del lusso made in Italy : salvaguardare tradizione, innovazione e know how creando dei cenacoli di precettori e allievi, un po' come accadeva alle corti rinascimentali. Oggi i grandi gruppi italiani, almeno di marchio anche se di portafoglio appartengono a gruppi stranieri come Kering o Lvmh, pensano al futuro creando accademie dove istruire i maestri del domani. Come ha fatto il gruppo Brioni, icona di eleganza internazionale, che con lungimiranza già nel 1985 ha creato la Scuola di sartoria a Penne, la cittadina abruzzese dove nacque uno dei due fondatori, Nazareno Fonticoli, e che durante un percorso quadriennale forma all'arte sartoriale i suoi master taylors , non sarti all'antica ma giovani professionisti dell' home made intesi anche come ambasciatori dello stile italiano.

Un esempio seguito anche da Gucci che ha fondato l'Alta Scuola di Pelletteria Italiana, una realtà formativa di eccellenza che ogni anno a Scandicci e a Pontassieve accoglie cinquecento studenti dai venti ai cinquant'anni e che tra corsi base e specializzazioni, tra tradizione artigiana e innovazione tecnologica ed informatica, riesce a collocare almeno l'80 per cento dei diplomati. Risultati garantiti che hanno convinto la provincia di Ferrara e la regione Emilia-Romagna a supportare i corsi di formazione teorici e pratici voluti dalla Manifattura Berluti, eccellenza del mondo della calzatura di lusso, anche come antidoto alla disoccupazione che a Ferrara è decisamente sopra la media regionale, il 14,2% contro all'8,5%. «Si tratta di una scuola del "saper fare" aperta esclusivamente a chi è disoccupato, inoccupato o in mobilità con attitudine al lavoro artigianale e che non prevede un limite massimo d'età e dunque è aperta anche agli ultra quarantacinquenni che faticano a trovare un'occupazione», spiega Chiara Pancaldi, direttore di Centoform, l'ente di Ferrara che seleziona gli aspiranti artigiani della scarpa e organizza la parte teorica dei corsi per Berluti. «Alla fine del percorso che dura dalle 300 alle 400 ore e prevede molta pratica all'interno dell'azienda sia con un tutor sia in autonomia per mettere alla prova la maestria acquisita, Berluti assume chi ritiene più meritevole a trattare e lavorare una calzatura come sapevano fare gli artigiani di una volta».

Il principio è quello di ripartire dalla manualità altamente specializzata e dall'eccellenza formando gli artigiani del lusso per garantire un ricambio generazionale. Lo strumento sono le accademie dove imparare i segreti del mestiere. Come accade alla Scuola della pelletteria Bottega Veneta che forma i maestri pellettieri del domani: «Un investimento sul futuro dell'azienda», ha sempre dichiarato il direttore creativo della griffe Tomas Maier. «Spero che aiuti a rinsaldare il rispetto e il fascino di una tradizione artigianale ormai sempre più rara e preziosa».

Ci sta pensando anche Prada che in aprile dovrebbe cominciare i lavori di ristrutturazione di un pastificio di Montevarchi, in Valdarno, dove avrà sede la Prada Technical Academy, una scuola dell'eccellenza dove tecnici esperti ormai in pensione insegneranno il loro know how , altrimenti irriproducibile, a millecinquecento ragazzi dai sedici ai ventun anni provenienti da tutto il mondo.

Ma c'è anche chi restituisce il suo savoir faire , in modo da diffonderlo alle nuove generazioni. Si chiama Responsabilità sociale d'impresa e la applica, per esempio, Bulgari che «presta» i suoi manager ai corsi post diploma per orafi del Consorzio per la formazione professionale ForAl di Alessandria e all'Mba, il Master in business administration con specializzazione in luxury business management , organizzato dalla Scuola di direzione aziendale dell'università Bocconi. Uno scambio di talenti e di eccellenze per assicurare anche in tempo di crisi un Rinascimento italiano all'alta gamma.

Anche grazie a questi sforzi i maestri d'arte, quelli che lavorano dietro le quinte, dove nascono i sogni a cinque stelle, restano il presidio più solido dell'industria del lusso. Lo dimostra lo studio di Frontier Economics presentato nel dicembre scorso al Parlamento europeo: in tre anni, dal 2010 al 2013, il fatturato complessivo delle aziende europee dei diversi settori dell'alto di gamma è cresciuto del 28%, passando da 428 a 547 miliardi di euro. E il contributo al Pil dell'Unione europea è salito dal 3% al 4%, consentendo di creare 200mila posti di lavoro. «Il settore è un perfetto ambasciatore di valori tipicamente europei come eccellenza, creatività e artigianalità», ha spiegato Michael Ward, managing director di Harrods e presidente di Eccia, la European cultural and creative industries alliance, che ha commissionato la ricerca e che è composta dalle cinque principali associazioni europee dell'alto di gamma, per l'Italia da Fondazione Altagamma che riunisce le imprese ambasciatrici mondiali del luxury made in Italy . «Grazie alla continua crescita del settore offriamo ai giovani di tutta Europa concrete opportunità di lavoro in un periodo estremamente complicato per l'economia. E facendo leva su tradizione manifatturiera, cultura e creatività la nostra industria è diventata la Silicon valley europea».

Una capacità di competere a livello internazionale che è una benedizione per chi bada alla crescita dell'economia ma anche per chi la pensa come Oscar Wilde: «Datemi il lusso e farò a meno del necessario».

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