Controcultura

Albinati pretende di sdoganare le sue parole senza umanità

Lo scrittore disse di desiderare la morte di un bimbo sulla nave dei migranti. Invece di scusarsi, ora cerca l'applauso

Albinati pretende di sdoganare le sue parole senza umanità

Ricordate tutti ciò che accadde, no? A giugno la nave Aquarius, una Ong che pattugliava le acque tra Lampedusa e la Libia per prestare soccorso nel Mediterraneo, recuperò in mare 630 persone. Era impossibile riportarle in Libia, Malta non le accettava, non rimaneva che l'Italia. Ma il ministro dell'Interno negò l'autorizzazione a entrare in un nostro porto. Giornate convulse, accuse, rimpallo di responsabilità, poi i 630 migranti furono accolti, sani e salvi, dalla Spagna.

Le polemiche furono violente e i giudizi - fra media, politica e opinione pubblica - opposti. Ci fu chi difese Matteo Salvini, il quale aveva finalmente scoperchiato l'ipocrisia di un'Europa che aveva sempre scaricato il problema dei migranti solo sulle nostre coste. E chi lo accusò di giocare cinicamente - Realpolitik? - con la pelle di centinaia di innocenti. Tutti dissero la loro, e tutti lo fecero nei limiti concessi dalle regole della normale dialettica. Tranne uno.

Lo scrittore Edoardo Albinati, in quei giorni roventi, mentre presentava un libro alla Feltrinelli di Milano, sbottò: «Sapete, sono arrivato a desiderare che morisse qualcuno, su quella nave. Ho desiderato che morisse un bambino sull'Aquarius» (sottinteso: se morisse un innocente scoppierebbe uno scandalo, e ciò farebbe saltare la politica di Salvini e forse lo stesso governo). La frase finì sui giornali e divenne il caso del giorno. Ci si chiese: Albinati è un cinico più cinico di Salvini? È un provocatore? Un folle? Un cretino? Quando disse quella frase ci sembrò tutte quelle cose insieme, e lo scrivemmo. Ma oggi che Albinati, invece di fare ammenda, rivendica con fierezza la sua frase, scrivendogli attorno un lucroso pamphlet di 105 pagine - Cronistoria di un pensiero infame (Baldini + Castoldi) - occorre provare una piccola riflessione.

Albinati non ha avuto un pensiero «infame» (che avrebbe almeno un suo fascino luciferino). Ma semplicemente fesso. E Albinati non è una persona «sgradevole», «orribile», «immorale» o «cattiva». È anche tutto questo. Ma prima, come qualsiasi odiatore, è cieco. Nel senso che non vede se non ciò che desidera vedere. Quando ha detto quella frase, Albinati non vedeva neppure i bambini che (il paradosso è chiaro a tutti) voleva salvare. No: vedeva soltanto la rovina dell'oggetto del suo odio, il suo nemico, che in quel momento era un politico preciso, con un nome, un cognome, un ruolo. Desiderava una tragedia solo per vedere affermata la propria idea. Riascoltando quella frase, ricollocandola nel suo contesto, leggendo il pamphlet che la rafforza invece che attenuarla, si capisce che ad Albinati non interessa alcuna «verità», non interessa l'Aquarius, non interessano i bambini. Ciò che gli interessa è distruggere un nemico politico, peggio ancora: ideologico. Albinati ha pesato con cura il prezzo del proprio desiderio, si è chiesto lucidamente quanto sarebbe stato disposto a pagare per ottenerlo (ottenere il fallimento del governo, e del ministro dell'Interno in primis) e, nonostante il costo aberrante, cioè la vita ipotetica di un bambino, si è detto (e ci ha detto) che era disposto a pagare. Albinati - un fabbricante di idee per chi non ne ha, che punta alla claque dei fan delle «porte aperte» a prescindere - non voleva salvare alcuna vita. Voleva la morte politica dell'avversario. Nessuna fierezza, solo meschinità.

La frase di Albinati non è, come lui crede, «indifendibile» («Non voglio difendermi. Quello che ho pensato è indifendibile... Vorrei però spiegare...» è l'incipit del libro). La frase di Albinati è peggio. È irricevibile. E non per la sua gravità. Ma per la sua stupidità. Se io per scardinare la posizione dei fautori dell'accoglienza a tutti i costi dicessi: «Sapete, sono arrivato a desiderare che tra i migranti dell'Aquarius ci fosse un terrorista. Ho desiderato che mettesse una bomba in un asilo, e morissero dei bambini» (sottinteso: se ci fosse una strage jihadista per colpa anche di uno solo di quei «naufraghi», la politica sull'immigrazione cambierebbe) sarei un folle, un mostro, un provocatore, o non piuttosto uno stupido?

Albinati si compiace per la propria parte maledetta, ma non è Céline. E nemmeno Gino Strada. È un romanziere che ha il privilegio di vivere in Italia, l'unico Paese d'Europa in cui la classe intellettuale è più stupida della gente comune. Per anni ci hanno fatto credere che la casta peggiore, insopportabile e parassita, fosse quella politica. E invece è quella degli scrittori, degli «opinionisti», degli «artisti». Quelli che non sanno niente se non ciò di cui si convincono, che scrivono senza leggere, che non sentono se non quello che vogliono ascoltare. Quelli che si baloccano nella pars destruens senza mai far seguire una pars construens: non hanno idee, proposte, programmi, solo livore. Bravissimi a negare i problemi, incapaci di proporre soluzioni. Insegnano a Rebibbia e credono di sapere cosa significa l'umanità (andassero a fare volontariato tutte le sere nelle case di riposo degli anziani, invece che passare l'estate sulle navi dell'Ong). Sono stati una volta in Niger ma non sono mai passati da un bivacco di maghrebini fuori dalla stazione ferroviaria di una qualsiasi città italiana. Scambiano l'esasperazione per razzismo, confondono il diritto d'asilo (sacro verso il singolo, deflagrante verso le masse) con il permesso di invadere. Non conoscono la differenza tra società multietnica (un arricchimento) e multiculturale (un fallimento). Citano Ceronetti, ma non l'hanno mai letto («Gli sbarchi degli immigrati sono un disastro nazionale, ma gli imbecilli del potere e della gerarchia cattolica si rifiutano di vederla tale»). Sono rancorosi, faziosi fino allo schifo (se il caso Aquarius fosse scoppiato sotto un qualsiasi altro governo, tutti a cuccia). Valgono, elettoralmente, lo 0,5%. Ma «loro» sono la nostra coscienza critica! Si sentono al di sopra della morale e sono solo sotto la soglia minima della dignità umana. Si lamentano dei populismi, e sono il peggio del qualunquismo. Disprezzano il voto della «gente», paventano un allarme democratico, e poi però il loro orgoglio è non votare. Si chiamano fuori da ogni partito («loro» sono gli unici liberi!) e poi te li ritrovi sempre su quei giornali, in quelle librerie, in quelle trasmissioni... Sono gli unici convinti di parlare pulito, e hanno sempre la bava a bocca.

Eccoli qui, gli intellettualini italiani che frignano di essere «minoranza», e poi hanno tre pagine intere sul maggiore quotidiano italiano, pubblicano dove vogliono, sono a tutti i festival e in tv... Dicono una frase abominevole e stupida, e invece di chiedere scusa rilanciano cercando l'applauso. Se l'avessero detta dentro un bar, un qualsiasi avventore li avrebbe presi a pugni. E invece ce li ritroviamo in libreria.

E poi dicono che non accogliamo tutti.

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