Cronaca locale

AlbinoLeffe, paradiso e ritorno: esce il film

Stasera all’Oberdan la proiezione di "Un sogno serio", film-documentario che racconta l’incredibile avventura di una piccola società di calcio arrivata alla soglia della serie A

AlbinoLeffe, paradiso e ritorno: esce il film

Come comunità di atleti e tifosi, il calcio italiano ha ispirato pochi film: il milanese Dino Risi, che a inizio carriera scrisse Gli eroi della domenica per Mario Camerini, mi spiegava che il filone cinematografico sportivo è esiguo perché in Italia i film sul calcio non hanno mai incassato molto. Comunque, Gli eroi della domenica e gli analoghi Gambe d'oro di Turi Vasile, con Totò, e Ultimo minuto di Pupi Avati, con Ugo Tognazzi, sono opere importanti soprattutto perché raccontano le squadre di provincia.

Ora esce anche Un sogno serio, scritto da Gabrio Rognoni e Andrea Pellizzer, che lo ha anche diretto (dopo aver firmato il lungometraggio 3 lire il primo giorno, premiato al Festival di Beverly Hills nel 2009). E' un documentario sull'AlbinoLeffe nel campionato 2007-2008, che lo portò alle soglie della serie A. Realizzato col contributo del Bando Cinema della Provincia di Milano, Un sogno serio è oggi presentato alle 20.30 allo Spazio Oberdan di viale Vittorio Veneto 2 (ingresso libero). Dalle ore 18, il contiguo Casello Ovest di Porta Venezia (corso Venezia 63) ospita la video-installazione Sogni di Alba Rivolta, presentata come «simbiosi di immagini digitali e gesti pittorici realizzata da una pittrice e da un gruppo di fim-maker per raccontare una comunità»: quella appunto della bergamasca val Seriana, protagonista di Un sogno serio.

Gli abitanti di Albino e Leffe sono in totale venticinquemila. La storia della loro squadra è simile a quelle del Marzotto e del Castel di Sangro. Solo una volta una squadra connessa a un numero di abitanti così esiguo è arrivata allo scudetto, ma ci sono volute circostanze eccezionali, come capitò per quella dei Vigili del Fuoco di La Spezia nel campionato della Repubblica sociale. Infatti alcuni dei migliori calciatori, specie i campioni del Torino, erano mandati lì per il servizio militare, onde sopravvivere alla duplice occupazione dell'Italia: bella e malinconica storia, che non ha ancora trovato un Pupi Avati che la racconti…

Milanese, Pellizzer non tifava AlbinoLeffe. Voleva però raccontarne la favola, che è tale perché il calcio professionistico di alto livello è da tempo ridotto ad arena per mercanti in cerca di pubblicità per i loro prodotti e di carisma per sè stessi. Certo, anche l'AlbinoLeffe risponde a una logica economica, ma non è questa la nota prevalente della vicenda che ha galvanizzato la Val Seriana. La squadra è arrivata dove nessuno si aspettava, dimostrando che ci sono ancora margini per una competizione onesta. Il limite dell'impresa è stato raggiunto nei play-off del 2008, quando la doppia sfida col Lecce si è risolta con una sconfitta casalinga (l'AlbinoLeffe gioca a Bergamo) e un pareggio in trasferta.

Si può piangere per una partita persa, per una promozione mancata? Si può, si può… Quella sera piangevano i giocatori, piangeva il loro capitano, Ivan Del Prato, piangevano i dodici - contati - tifosi che li avevano seguiti fin lì. Il sogno della A era sfumato, per il momento; ma loro erano entrati nel mito imperfetto e per questo più affascinante. E ora li hanno raggiunti quelli del Fulham, in Inghilterra: tutta gente capace di battere molti colleghi sulla carta più forti di loro. Non li hanno battuti tutti? Pazienza. Il resto del documentario è fra sociologia e antropologia, non solo del tifoso: il pubblico dell'AlbinoLeffe.

Mi dice Pellizzer: «L'idea mi venne nel marzo 2008: l'AlbinoLeffe era allora primo in classifica in serie B. Una società nata dieci anni prima dalla fusione fra Albinese e Leffe, in un momento di grande violenza attorno al calcio (delitto Raciti), rendeva reale una favola. Seguimmo i tifosi dell'AlbinoLeffe in trasferta e notammo che per loro era una gita, non una spedizione punitiva. Si dice che la Val Seriana sia abitata da gente chiusa. Invece trecento persone si sono presentate al casting e appaiono nel film.

Che è il ritratto di una comunità, non solo quello di una squadra».

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