Roma

Alessandro Kokocinski L’artista che misura lo spazio con il cuore

Nel 1998 all’Istituto Italiano di Studi Filosofici di Napoli tenni un seminario di ricerca di una nuova dimensione artistica «Nuovo Dimensionalismo». In quell’occasione conobbi Alessandro Kokocinski che esponeva nelle sale dell’Istituto. La ricerca di un Nuovo Dimensionalismo partiva da un antico e primitivo principio di misura dello spazio e del tempo affidato al passo umano, al palmo della mano e al battito cardiaco.
Per Alessandro Kokocinski lo spazio non è una dimensione la cui misura corrisponda al nostro passo o al nostro palmo metrico ma è ciò che si può misurare solo col palpito del cuore; con una sorta di scansione emotiva, temporale seppure biologica. Non vi è nulla del suo operato che non sia passato prima dal filtro d’una latente memoria e poi per l’arteria, per l’aorta sanguigna. Così il limitato spazio materico delle sue rappresentazioni artistiche è emulsionato come una pellicola cinematografica che racconta, a scatti e scarti, l’evento, la storia, l’emozione; una sorta di sintesi fantastica dove le materie impiegate soffrono e si emozionano a loro volta durante la ritualità obbligata della rappresentazione, nella finzione di un evento illusorio, di un accadimento, d’una trasfigurazione, d’una utopica ricerca dell’eternità.
Nei suoi marcati silenzi antropologici, il pensiero d’una frattura spirituale, contrasto all’epoca moderna, è di tale originalità, vitalità e profondità, che un contatto vitale con esso potrebbe essere necessario e giovare a una filosofia teologica più attuale. Alessandro Kokocinski procede ad un continuo aggiornamento del suo fare artistico incorporando molti concetti importanti della filosofia tedesca, kantiana, hegeliana e heideggeriana, e soprattutto facendole assumere quella impostazione antropocentrica che è tipica della cultura moderna. Per il nostro artista, l’uomo diviene il centro di riferimento di tutti i grandi misteri della vita, non solo dei misteri del peccato e della sofferenza ma anche della incarnazione dogmatica e dei dubbi esistenziali.

Noi pensiamo che la sua vera sofferenza non è nella vita vissuta e vivente ma nel riproporre la stessa come rivelazione, come rappresentazione plastica del tormentato vocio dell’inconscio e, infine, come sublimazione d’una pace interiore che cerca di raggiungere nei giorni a venire.

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