Politica

"Allenatore zingaro"? Non si può più dire

Siccome in ogni organizzazione terroristica (e noi del Giornale siamo un’organizzazione terroristica: di stampo razzista-xenofobo, ha detto ieri in pratica l’Ambasciata romena con un comunicato ufficiale) c’è sempre un infame che tradisce, e siccome l’infame del Giornale è il sottoscritto, come tutti gli infami tradisco e faccio i nomi dei complici, sperando in un trattamento di clemenza quando sarà il momento del processo. Ci sarà pure una legge sui pentiti anche per noi, spero.
Dunque, cari accusatori dell’Ambasciata romena, e cari sinceri democratici di tutta Italia che ieri vi siete indignati perché sul nostro sito web abbiamo chiamato Mircea Lucescu «un allenatore zingaro», ecco qua non solo una completa confessione, ma una delazione in piena regola con la quale vi faccio nomi e cognomi, come dicevo, dei complici. Anzi, pure quelli dei nostri ispiratori, presenti e passati: dei Grandi Vecchi che da tempo immemore hanno contribuito a formare l’odiosa subcultura che ha portato a marchiare qualcuno con quell’insulto lì, «zingaro».
Intanto vi debbo dire che il bravo Mircea Lucescu i nemici ce li ha pure in casa propria. Intendo: fra i colleghi. Sul sito ufficiale dell’Associazione italiana allenatori calcio si può leggere infatti una panoramica dei tecnici della serie A, con un po’ di storia dei maestri della panchina. A un certo punto si parla degli allenatori stranieri e si scrive testualmente: «A vincere sono stati in tre: i già ricordati svedesi Eriksson e Liedholm e quello straordinario zingaro della panchina che è stato Vujadin Boskov». Prendete nota, signori della Corte.
Tanto più che Boskov veniva dai Balcani, e quindi, insomma, il collegamento con l’etnia è forte. Ma l’odio razziale è stato preparato con cura. Già il 24 settembre 1995, infatti, sull’insospettabile Corriere della Sera un grande giornalista sportivo come Mario Gherarducci scriveva: «Ineffabile zingaro del pallone, Boskov è un serbo di Novi Sad». Il buon Gherarducci era recidivo perché già un anno prima, il 31 ottobre del 1994, sempre sul Corriere aveva scritto di Boskov: «Questione di allegria, spiega l’impareggiabile zingaro della panchina». Chi l’avrebbe mai detto che anche il Corriere è razzista come noi?
Ma guardatevi bene, amici dell’Ambasciata e signori della Corte, da coloro che fanno professione di anti-razzismo. Avete presente Repubblica? Voi la credete al riparo da espressioni come quelle che abbiamo usato noi ieri, incitando all’odio, su Lucescu. E invece, su Repubblica dell’11 febbraio 1999 ancora sul povero Boskov, in un pezzo dell’inviato da Perugia Mattia Chiusano, si leggeva: «Lo zingaro si è adattato». Ma anche a Repubblica il vizio è antico: «Lo chiamano zingaro giramondo», era scritto sempre di Boskov già il 3 novembre 1987.
Brutto ambiente, quello del calcio. In un articolo della Gazzetta dello Sport dell’11 ottobre 2006 si spiegava perché Ronaldinho non era in forma e si indicava il colpevole: «la stanchezza del precampionato zingaro». Insomma non solo le persone, ma anche le cose negative, come un precampionato, sono «zingare». E Materazzi, sapete che cosa ha detto nel 2007 a Vanity Fair? «I compagni con cui mi capisco di più sono gli zingari. Io mi ci sento, zingaro. E con me i vari Recoba, Ibrahimovic, Stankovic, lo stesso Dacourt». Ibra, poi, è un perseguitato. Quando era ancora una giovane promessa, nel 2001, così era titolata la scheda dedicatagli dal sito TuttoMercatoWeb.com: «Zlatan Ibrahimovic, lo zingaro cresciuto fra i ghiacci». Ma non solo il calcio. È tutto lo sport che ha l’ossessione degli zingari. Il ciclista Ivan Fanelli così ha detto alla Gazzetta il 7 gennaio 2008: «Questa vita da zingaro purtroppo mi piace». Sempre alla Gazzetta, il 9 novembre 2008 il suo collega Paolo Bettini confessava: «Dopo vent’anni da zingaro, smettere all’improvviso mi farebbe ammalare».
E il tennis? Non parliamone. Anche uno dei più grandi giornalisti sportivi - Candido Cannavò, purtroppo recentemente scomparso - aveva ceduto all’odio razziale. Il 29 settembre 2000 la Gazzetta pubblicò un articolo a sua firma intitolato: «Ecco Tiriac, zingaro del tennis». C’è una vera e propria multinazionale xenofoba, cari signori dell’Ambasciata: pensate che sul sito Msn.com, che è nientemeno che della Microsoft del noto razzista Bill Gates, alla voce «Nastase Ilie», grande tennista romeno, si legge che era «soprannominato lo zingaro». Ma vi avevo promesso che avrei fatto anche i nomi dei Grandi Vecchi. I maître-à-penser che hanno preparato il campo plasmando le coscienze degli italiani. Eccoli qua: Iva Zanicchi e Bobby Solo, che già nel 1969 si presentarono a Sanremo con una canzone intitolata «Zingara», dove la zingara era quella che legge la mano, una che abbindola la gente insomma. Pensate che trent’anni dopo anche un insospettabile progressista della canzone come Francesco de Gregori s’è fatto contagiare e ha scritto una canzone intitolata come l’incipit di quella del duo Zanicchi-Solo: «Prendi questa mano zingara». E che dire poi del meridionale Nicola di Bari, che nel 1971, per giustificare l’infedeltà, cantava «Il cuore è uno zingaro». E va: come andavano quei citrulli di Amici miei, che per esorcizzare la paura della vecchiaia e della morte s’inventarono «la zingarata». Un termine, peraltro, che appartiene al dialetto fiorentino, e che indica una beffa, uno scherzo, una goliardata: niente di male insomma, così come per nulla offensivo è il termine «zingaro» rivolto ai simpatici giramondo come Lucescu. Basterebbe sapere un po’ di più l’italiano, cari amici dell’Ambasciata romena, per evitare figuracce come quelle che ieri non noi, ma voi avete fatto, con il vostro comunicato diffuso alle agenzie. Vi consiglio, come prima cosa, un buon vocabolario che spieghi significato e uso traslato di ogni termine.

Il migliore? Lo Zingarelli, naturalmente.

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