Cronaca locale

Un’altra occupazione ora giudici e Comune devono dire basta

di Salvatore Scarpino

I cosiddetti centri sociali continuano a svolgere la loro azione illegale ma costante. La cronaca non può che seguire queste gesta poco gloriose al pari delle autorità competenti (si fa per dire) che si limitano, così pare a registrare movimenti e fatti che violano ogni regola.
Adesso i centri sociali hanno occupato un ampio stabile di viale Molise. «Il posto è bellissimo e enorme», così hanno detto gli occupanti, ma certamente la stragrande maggioranza dei milanesi non condividerà la loro soddisfazione. I centri sociali in realtà sono un disturbo non necessario in uno Stato democratico, ma che noi siamo costretti a considerare permanente e incurabile.
Erano almeno tre giorni che i giovanotti degli stessi centri sociali sul loro web annunciavano l’azione, ma nessuno si è mosso per impedirla. In questa città in cui l’Ecopass dà molto lavoro ai giudici di pace, l’occupazione di stabili diventa una bagatella di scarsa rilevanza. È curioso, ma è così.
E torniamo a chiederci: perché? È evidente che gli occupanti e gli animatori dei centri sociali godono di conclamate solidarietà nella sinistra antagonista (e di distrazioni interessate nella sinistra sedicente moderata), ma è chiaro che queste contiguità non bastano a spiegare tutto.
Un giudice dell’udienza preliminare di Milano, occupandosi di reiterati casi di occupazione abusiva, ha affermato “che il comune di Milano ha agito per anni in modo blando e burocratico con vano rimpallo di responsabilità, compiti e azioni” che possono definirsi di “cooperazione colposa”.
Contestazione grave che il comune respinge e che per bocca di Riccardo De Corato accusa i magistrati di essere stati lassisti proprio in materia di occupazione.
Per i milanesi non è importante sapere a chi tocca la palma delle responsabilità interessa capire come la piaga delle occupazioni abusive possa essere cauterizzata. La legalità non è divisibile, deve essere attuata e rispettata in tutte le sue esigenze, senza lasciare zone franche a soggetti che invocano motivazioni nobilmente sociali. E non solo a quelli.
In questo Paese lo Stato c’è, e i cittadini lo sanno, ma accade talvolta che ordini e articolazioni periferiche dello stesso Stato, vengano meno, per lassismo, sciatteria, o timore dell’impopolarità, ai loro obblighi istituzionali. E allora l’azione dello Stato si sgrana e si diluisce e si creano smagliature preoccupanti nella arte della legalità.
Milano non può tollerare omissioni e smagliature, proprio per il ruolo che ha nella necessaria ripresa del Paese. E per gli obblighi che ha nei confronti dei suoi cittadini, i quali hanno il diritto di non sommare le strettezze della crisi alle deficienze dello Stato di diritto.


Aspettiamo con fiducia che questa brutta storia di centri sociali abbia fine. Ma quanto conta la nostra fiducia?

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