Cultura e Spettacoli

Ammaniti supervincitore del «Grinzane France»

Premiato a Parigi l’autore di «Io non ho paura», tradotto Oltralpe da Grasset

da Parigi
Il “plenipotenziario” nonché fondatore del Premio Grinzane Cavour, Giuliano Soria, è stato felicissimo, con tutti gli altri, nel vedere ieri la straordinaria affluenza di pubblico nelle sale dell’Istituto Italiano di Cultura a Parigi, diretto da Giorgio Ferrara, in occasione del «Prix Grinzane Cavour France», prima edizione del premio piemontese che dichiara così definitivamente una sua vocazione internazionale (una seconda edizione si terrà a Mosca il prossimo 12 dicembre). I finalisti, tutti per così dire già vincitori, erano quattro, con opere già note da noi, ma tradotte ora in francese, e tra le quali gli studenti di alcuni istituti superiori parigini dovevano eleggere un «supervincitore», e il loro responso è stato: Niccolò Ammaniti con Je n’ai pas peur, pubblicato da Grasset (Io non ho paura, Einaudi 2001). Gli altri concorrenti erano Diego Marani con Nouvelle grammaire finnoise pubblicato da Rivages (Nuova grammatica finlandese, Bompiani 2000); Margaret Mazzantini con Ecoute moi pubblicato da Robert Laffont (Non ti muovere, Mondadori 2001); e infine Sandro Veronesi con La force du passé pubblicato da Plon (La forza del passato, Bompiani, 2000).
Al di là della notizia, vale la pena di segnalare il convegno che ha preceduto la premiazione sul «Viaggio nell’Europa delle corti»: Béatrix Saule, conservatrice-capo del Castello di Versailles, ha parlato della rivoluzione di modi e di costumi inaugurata da Luigi XIV; Giuseppe Scaraffia ha allargato il campo citando autori che parlano di altre forme di “corti”, di centri d’attrazione quali potevano essere luoghi e istituzioni come la Scala di Stendhal milanese; Daria Galateria ha ricordato certe vessazioni subite da Racine con il Re Sole, e ha potuto annunciare una scoperta recentissima riguardante Madame de Maintenon, l’amante del re: un giorno che un’adorata nipotina del re, la duchessa di Borgogna, aveva avuto un mancamento mentre si trovava nella camera da letto della Maintenon, questa fece subito sistemare in fretta dei cuscini sul sofà: poiché sul letto di una regina non poteva stendersi che il re, questa è senz’altro la prova che il re aveva sposato la Maintenon. Una notizia che mancava.
Il critico letterario Gérard de Cortanze - discendente da una delle più illustri famiglie aristocratiche piementosi, feudataria del castello di Cortanze (Asti), costretta a lasciare l’Italia in epoca risorgimentale - ha ricordato invece con ironia certe impressioni riverberate da questo retaggio, che sono anche oggetto di alcuni suoi romanzi storici. E Alain Elkann ha voluto evocare l’iniziativa, bizzarra per la dinastia sabauda e per quella città pedemontana che è Torino, di fondarvi un museo egizio che non aveva pari in tutta Europa. Mentre Roberto Pazzi ha fatto rivivere le sue cure dell’Ariosto e della corte di Ferrara. Più seriamente, circa questo Piemonte tirato in ballo, il professor Walter Barberis ha messo in rilievo il carattere peculiare della corte sabauda: a differenza degli altri grandi centri italiani, come Genova, Napoli, Firenze, che sono slegate dal territorio, che lo dominano e lo soggiogano, Torino invece persegue una integrazione con i territori circostanti. Dopo l’aspro, frugale periodo medioevale di fondazione, dalla fine del ’500 alla fine del ’700, cioè nella sua fase europea, i Savoia puntano sempre più sulla spesa militare, sugli appalti, sulla logistica. Solo la Prussia di Federico II spende per l’esercito più del 30 per cento sabaudo del pil.

Si sa, con alterna fortuna.

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