Cronaca locale

Amore eterno alla francese

Settantasette anni. Una vita. Davvero tantissimi. Quanti ci separano dall’ultima rappresentazione scaligera di Roméo et Juliette, il drame lyrique di Charles Gounod, che tornerà lunedì prossimo al Piermarini (ore 20, sette repliche fino al 23 giugno, info 02.72003744, www.teatroallascala.org). Ma per la storia d’amore più famosa del mondo, senza tempo per definizione, tutti quegli anni sono nulla. Un lungo filo rosso, da Shakespeare al compositore d’Oltralpe di metà Ottocento, alla Scala del 2011. In quell’ormai lontanissimo 1934, sul palco milanese, l’amore di Romeo e Giulietta prendeva voce e fisionomia di Mafalda Favero e Beniamino Gigli. Oggi, su quello stesso parquet, l’Amore assoluto vestirà i panni dell’eterna giovinezza - anche anagrafica - grazie alle qualità vocali ed attoriali di due front runner del bel canto: la ventottenne georgiana Nino Machaidze e il trentaquattrenne aretino (ma romano di crescita) Vittorio Grigolo, che molti ricorderanno nel Rigoletto televisivo, film in diretta trasmesso dalla Rai lo scorso settembre, al suo debutto alla Scala.
Debutto scaligero anche per il direttore Yannick Nézet-Séguin, trentaseienne canadese di Montreal, come i due protagonisti in scena baciato da rapidi successi, che l’anno prossimo prenderà le redini della Philadelphia Orchestra, una delle celebri «big five» degli Stati Uniti e parimenti uno dei migliori ensemble a livello mondiale.
L’allestimento (cantata naturalmente in lingua originale, il francese) è quello che al Festival di Salisburgo del 2008 fece il botto, con lo stesso Nézet-Séguin sul podio (un vero esperto di quest’opera), per la regia dell’americano Bartlett Sher. Direttore e cantanti in perfetta sintonia, almeno a giudicare dalla vigilia del debutto, riuniti insieme per presentare il lavoro di Gounod. Tutti e tre d’accordo nel giudicare questa Roméo et Juliette declinata alla francese (ma è sempre ambientata a Verona) un’opera davvero straordinaria, ricca di spunti continui, nuova in ogni rappresentazione, saldamente equilibrata nella sua completezza e complessità, difficile da assimilare ma propositiva e sorprendente fino all’ultima nota. Un’opera, insomma, «di grandi scoperte», per dirla con Vittorio Grigolo, per il quale l’obiettivo primario è senz’altro quello di «riuscire a fondere in un mix indelebile e persuasivo l’aspetto attoriale, fisico, recitativo, con l’espressione musicale, cioè il canto. «Un’opera che si acquisisce un poco alla volta - spiega il tenore romano - , e ogni volta c’è qualcosa di nuovo da scoprire. Insomma, per noi cantanti, venditori di sogni, ogni performance non è mai ripetizione fine a se stessa, ma piuttosto è la riproposizione dello straordinario nell’ordinario».
Da parte sua, il conductor del Quebec sottolinea il ruolo determinante del coro, «utilizzato in modo differente rispetto alle differenti emozionalità espresse per le due famiglie antagoniste Montecchi e Capuleti»; coro che lo stesso Gounod utilizza secondo il modello della tragedia greca - del tutto insolito nella tradizione musicale italiana - come soggetto narrativo ed elemento introduttivo nel prologo dell’opera, per evocare ed ambientare il dramma che sta per svolgersi; «un’opera - aggiunge Nézet-Séguin - in perfetto, mirabile equilibrio tra la leggerezza francese e il calore del repertorio italiano». E a proposito del duo protagonista Machaidze-Grigolo aggiunge senza esitazione: «E’ la coppia ideale per interpretare quest’opera che, cosa affatto scontata, li vedrà impegnati in ben quattro duetti, in un crescendo musicale fuori dall’ordinario». Il regista Bartlett Sher? «Ha saputo confezionare un lavoro denso di fisicità e azione, esplosivo quanto esigente», conclude Nézet-Séguin.
«Un’opera che cresce con te mentre la canti - rimarca Nino Machaidze, impegnata con Roméo et Juliette anche nella imminente stagione estiva dell’Arena di Verona -; certamente una delle mie preferite in assoluto».

La scenografia, firmata da Michael Yeargan, è quella di una piazza veronese atemporale; i costumi, di Catherine Zuber, portano l’azione dal sedicesimo al diciottesimo secolo.

Commenti