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Anche nel 2018 azioni meglio dei bond Evitando gli eccessi

La riforma fiscale Usa favorirà in particolare il comparto finanziario e quello energetico

Ennio Montagnani

Il 2017 si sta chiudendo con rendimenti positivi per gli investitori che hanno scelto e mantenuto nell'anno gli attivi più rischiosi: dalle azioni alle obbligazioni societarie, dagli high yield ai titoli dei mercati emergenti. Inoltre, se 12 mesi fa erano tante le preoccupazioni circa la crescita economica e i nodi politici Ue (soprattutto in vista delle elezioni in Olanda, Francia e Germania), adesso si constata una crescita globale diffusa e solida, un'inflazione che non desta particolari preoccupazioni e politiche monetarie ancora sostanzialmente accomodanti. Resta il fatto che le previsioni indicano un rialzo dei tassi del mercato obbligazionario nei prossimi mesi.

Va ricordato che un aumento dei tassi provoca un contestuale calo dei prezzi delle obbligazioni in misura tanto maggiore quanto più è lontana la scadenza del titolo. Tanto per fare un esempio, se il tasso di rendimento di un Btp a tre anni salisse di mezzo punto percentuale (+0,50%) il suo prezzo scenderebbe dell'uno per cento, mentre lo stesso rialzo di tasso (+0,5%) provocherebbe un ribasso del 4,5% nel prezzo del Btp decennale. Ecco perché gli esperti suggeriscono di evitare i titoli di Stato tedeschi a 10 anni e di posizionarsi, al massimo, sui Btp con scadenza compresa tra 1 e 5 anni.

Per la stessa ragione, anche le obbligazioni societarie di alta qualità (quelle con rating investment grade) non sono attraenti, in quanto rendono poco di più di un titolo di Stato. Nell'ambito dell'area euro restano invece interessanti sia le obbligazioni high yield e sia i titoli subordinati finanziari: in entrambi i casi, però, meglio evitare il fai da te e affidarsi a Etf e fondi specializzati che consentono di diversificare l'investimento anche con somme modeste.

Per diversificare il rischio del portafoglio obbligazionario si può puntare sui corporate bond Usa di alta qualità che rendono tra il 2% e il 3% (circa mezzo punto in più rispetto ai titoli distato statunitensi) e sono emessi da società di elevato standing internazionale. Al contrario, meglio stare alla larga dalle obbligazioni high yield Usa che sono destinate a soffrire molto il rialzo dei tassi da parte della Fed.

na piccola quota del portafoglio può essere destinata alle obbligazioni legate all'inflazione (inflation linked bond) e ai titoli del debito dei Paesi emergenti, sia in valuta forte (dollaro) sia in valuta locale (valute dei Paesi in via di sviluppo). Per quanto riguarda invece le Borse, qualche consiglio lo fornisce Marco Piersimoni, Senior investment manager di Pictet Asset Management. «Crediamo che le valutazioni attuali dei mercati azionari quotino pienamente lo scenario macroeconomico condiviso dal mercato. Inoltre, nonostante la forte crescita durante l'anno, non vediamo ancora le Borse vicine agli eccessi dei picchi tipici dell'ultima fase di un mercato rialzista, come per esempio quelli del settore tecnologico durante il 2000», spiega Piersimoni, che continua infatti a vedere margini e opportunità di acquisto in alcuni settori in Usa, dove è atteso un consistente programma di stimolo fiscale entro l'anno. Tale progetto legislativo non avrà probabilmente un impatto significativo sulla crescita (circa uno 0,2-0,3% sul Pil), ma potrebbe avere ripercussioni sugli utili aziendali e di conseguenza sui mercati. La riduzione delle imposte per le imprese sarà infatti generosa, intorno al 20%, con implicazioni settoriali importanti. Secondo le stime, questo si tradurrà in media in un aumento degli utili del 8% delle imprese americane, che si somma alla crescita del 10% già prevista dal mercato per il 2018.

«Possiamo, tuttavia, evidenziare differenze tra i settori: quelli soggetti a un'alta tassazione marginale e che producono pochi profitti all'estero, a esempio finanziari, energetici e in generale le Pmi domestiche, forniscono prospettive migliori», tiene a puntualizzare Piersimoni.

Ma è il dollaro il grande perdente del 2017.

Dopo un parziale rafforzamento nella prima metà dell'anno, che si potrà possibilmente sfruttare per spunti tattici, gli esperti prevedono che prosegua lungo il sentiero di graduale indebolimento a partire da giugno per chiudere, a fine 2018, a 1,22 rispetto all'euro.

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