Stile

Anche Pretty Woman era vestita da Cerruti

Paolo Torello-Viera da luglio è il nuovo ad dello storico Lanificio

Laura Verlicchi

Biella Nasce da radici ben salde nel passato la nuova linfa per Lanificio Cerruti. «Una sfida che non potevo rifiutare: per questo sono tornato dagli Usa nella mia Biella - racconta Paolo Torello-Viera, manager di lungo corso nel mondo della moda, divenuto ad dell'azienda dopo che il fondo Njord Partners ne è diventato l'azionista di riferimento, nello scorso luglio - Vogliamo portare questa eccellenza italiana a nuovi traguardi, partendo da una base più che solida.

Nino Cerruti ha fondato il successo del gruppo su una visione originale, che non ha perso nulla del suo fascino e della sua attualità. E mi piace ricordare che abbiamo un legame quasi di famiglia: mio nonno è stato il suo mentore, quando era un ragazzo che muoveva i primi passi nel mondo dei tessuti». Già, perché il signor Nino, come tutti lo chiamano in azienda dove a 88 anni è ancora attivo come presidente, è protagonista del made in Italy fin da giovanissimo, quando ha preso le redini del lanificio di famiglia: col mitico profumo Cerruti 1881 ha inventato il business delle licenze, ha affidato a un esordiente Giorgio Armani la prima linea di confezione per uomo, ha stretto collaborazioni indimenticabili col mondo del cinema. Chi non ricorda Pretty Woman o Basic Instinct? Cerruti ha conquistato così la notorietà internazionale ma senza mai perdere di vista il territorio. Anche oggi che il lanificio piemontese si è trasformato in una realtà multinazionale che vende in più di 100 paesi, l'intera produzione è fatta completamente a Biella. Perché solo qui scorre l'acqua dolce e leggera, che da secoli permette di realizzare tessuti di qualità superiore, valorizzando le materie prime di eccellenza, che arrivano da tutto il mondo: lane australiane e cashmere mongolo per i tessuti sartoriali, cotone e altre fibre, in piccola percentuale, per i tessuti femminili, sportivi e casual. I numeri sono di tutto rispetto: 58 milioni di euro il fatturato 2018, 65 milioni il budget per il 2019, 4.500 le varianti di tessuto proposte ad ogni stagione.

Come quelle dai riflessi cangianti utilizzate per vestire il Team Italia al Bocuse d'Or, il concorso fondato nel 1987 dallo chef Paul Bocuse che rappresenta il campionato mondiale delle arti gastronomiche. Cucina d'autore e tessuti di lusso sono due cavalli di battaglia del made in Italy. Un matrimonio indissolubile da cui sono nate le giacche da giorno ispirate al «cuoco con stile» immaginato da Gualtiero Marchesi, e gli smoking dalla trama jacquard per la sera, realizzati su misura dalla sartoria Filrus anch'essa storica azienda biellese - per i componenti della squadra capitanata dal giovane chef Martino Ruggieri. Nella finale del 30 gennaio a Lione, nonostante la bella prova del team tricolore che ha realizzato un piatto raffinatissimo, ispirato alle piazze d'Italia nella visione di De Chirico, la vittoria è andata alla Danimarca.

Per la prossima sfida, si riparte dall'Accademia Bocuse d'Or di Alba, dove si è formata la squadra: «Diventerà un polo internazionale formativo per chef professionisti - spiega il presidente Luciano Tona - e vedrà la collaborazione di importanti cuochi italiani e internazionali».

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