Controcorrente

Appalti puliti cantieri chiusi

In 10 anni i lavoratori dell'edilizia si sono dimezzati Colpa della crisi, ma anche di un Codice dei contratti pubblici che si è rivelato un inedito autogol istituzionale

Appalti puliti cantieri chiusi

Per gli addetti ai lavori è semplicemente il Codice degli appalti: la raccolta delle norme da seguire in materia di contratti pubblici, il testo che detta le regole di un settore che nel 2017 valeva 140 miliardi di euro. Un documento a cui è legata una bella fetta di economia italiana, ma che è diventato anche l'esempio di un corto circuito istituzionale con pochi uguali perfino nel malandato Belpaese. Per rendersene conto basta passare in rassegna la sua storia: l'approvazione è del 2016, ma pochi mesi dopo deve intervenire un decreto per correggere decine e decine di errori materiali contenuti nei vari articoli. Nel 2017, un anno dopo il varo, un altro decreto «correttivo», questa volta più sostanziale, e alla fine sono più della metà le disposizioni che finiscono in qualche modo per cambiare. A questo punto, tutto a posto? Macché. Uno dei primi atti della legislatura iniziata nel 2018 è il via a una serie di audizioni parlamentari per avviare la riforma della riforma. «Il Codice ha fallito, è troppo complicato, farraginoso, così non (...)

(...) si può andare avanti», dicono praticamente tutte le associazioni professionali coinvolte.

Le nuove norme sono così diventate l'esemplificazione concreta di un vecchio adagio: i posti di lavoro non si creano per legge, ma per legge si possono distruggere. Nelle intenzioni si ispiravano a criteri di flessibilità e trasparenza, ma hanno avuto l'effetto di contribuire a una frenata dei contratti pubblici, gettando sale sulle ferite di chi sugli appalti vive. In prima fila le imprese di costruzioni che negli ultimi 10 anni hanno vissuto una vera e propria Caporetto: 500mila posti di lavoro persi, 120mila aziende fuori mercato, più della metà dei grandi gruppi in fallimento o in conclamata crisi finanziaria. Sulla catastrofe del settore ha pesato soprattutto la crisi della finanza pubblica con una riduzione degli investimenti nell'ultimo decennio superiore al 50% (in questo campo il governo del cambiamento non ha cambiato proprio nulla: erano attese nuove risorse per 3,5 miliardi, alla fine sono arrivati solo 550 milioni). Ma nell'ultimo paio d'anni anche il Codice degli appalti, secondo i molti detrattori, ha fatto la sua parte.

«BULIMIA» LEGALE

La spinta verso un intervento legislativo organico nel campo dei contratti pubblici è nata dalla necessità di recepire nella legislazione italiana una serie di direttive europee. Ma non ci si è fermati qui. «I provvedimenti di Bruxelles stabiliscono principi generali», spiega Ginevra Bruzzone, vice direttore generale di Assonime, l'associazione delle società per azioni. «Ma da noi, dove spesso i comportamenti degli amministratori o delle imprese lasciano a desiderare, l'approccio è quello dell'iper-regolazione, si vuole prevedere e regolare tutto». Di «bulimia normativa» parla Vittorio Barosio, avvocato e docente universitario, un atteggiamento motivato dal fatto che «il legislatore non si fida della pubblica amministrazione, considerata, non a torto, inaffidabile e incompetente». Il risultato è che nel nuovo codice si sono fissate regole così stringenti da risultare paralizzanti e in qualche caso perfino in contrasto con la stessa normativa europea che si voleva attuare. Un esempio è quello dei subappalti, sottoposti a una serie rigidissima di paletti: bisogna tra l'altro indicare in sede di gara una terna di imprese a cui si potranno affidare in un secondo tempo i lavori. «E mi starebbe anche bene se si parlasse di procedure che durano settimane», spiega Edoardo Bianchi, vice presidente dell'Ance, associazione dei costruttori. «Ma qui si parla di anni. Che cosa ne so io che cosa succederà sul mercato tra 24 mesi?».

Un'altra novità è l'introduzione del principio della soft law. Di solito dopo l'approvazione di una norma con valore di legge, un regolamento amministrativo si occupa di definire i dettagli. In questo caso si sono voluti affiancare ai provvedimenti ministeriali le linee guida dell'Anac, l'Autorità anti-corruzione guidata da Raffaele Cantone, che è anche autorità dei contratti pubblici. Nelle intenzioni si opponeva la rigidità del regolamento alla flessibilità delle linee guida, in grado di fare da riferimento per la pubblica amministrazione che conservava la sua, in molti casi opportuna, discrezionalità. «La novità, però, ha aumentato la produzione normativa e introdotto una complicazione ulteriore», spiega l'avvocato Barosio. «Le linee guida sono regolatorie e cioè vincolanti, o semplicemente esplicative. Ma alla fine la distinzione non è chiara e alimenta la confusione».

DECRETI IN RITARDO

In termini quantitativi l'Anac ha fatto il suo dovere, tenendo conto anche del fatto che dopo il decreto «correttivo» del 2017 alcune linee-guida già emanate hanno avuto bisogno di una correzione: delle 10 linee-guida obbligatorie sette sono già stati pubblicate. Tutt'altro discorso vale, invece, per i compiti affidati alla burocrazia ministeriale. Nel complesso erano previsti 62 provvedimenti, ma solo un terzo circa ha visto fino ad ora la luce.

«Mancano ancora misure fondamentali come la cosiddetta qualificazione delle stazioni appaltanti», dice Andrea Mascolini, direttore generale dell'Oice, l'associazione delle società di ingegneria. La novità era considerata una delle più importanti del nuovo codice: quelle che i tecnici chiamano stazioni appaltanti sono gli enti pubblici autorizzati a avviare delle gare pubbliche; tenendo conto di tutto (dalle Asl fino ai piccoli comuni), in Italia ce ne sono più di 30mila. Il Codice prevede una serie di criteri per fare in modo che dimensioni e caratteristiche dell'ente pubblico determinino il tipo di gare che questo può avviare. Per capirsi: un piccolo comune in cui l'ufficio tecnico è formato da un paio di geometri non dovrebbe assegnare appalti per milioni, visto che gli mancano le capacità per gestire adeguatamente procedure di questo tipo, e deve fare riferimento a enti più strutturati in termini di competenze e organizzazione. Principio sacrosanto che, però, si è inabissato nei corridoi ministeriali. E anche questo dà la misura delle resistenze della burocrazia alle nuove regole: gli appalti, dai piccoli ai grandi, sono soldi e potere.

SENZA RETE

«L'errore principale del Codice è stato però quello di non aver previsto una disciplina transitoria», aggiunge Mascolini. Nel 2016 gli uffici pubblici hanno dovuto, subito e senza rete, adeguarsi alle nuove regole, che prevedevano, tra l'altro, che la gara non potesse effettuarsi più sulla base del progetto definitivo, ma su quello esecutivo (la fase ulteriore, quella immediatamente precedente all'apertura del cantiere). Il rallentamento nelle aggiudicazioni è stato brusco. Anche se già per il primo semestre del 2018 una ricerca Cresme-Anac segnalava che per gli appalti superiori al milione di euro la crescita è stata del 43% in numero e del 75% in valore (dai 6,1 miliardi del primo semestre 2017 ai 10,1 dell'anno scorso). Ma secondo gli esperti non basta.

I provvedimenti in discussione in questi giorni, compreso quello già approvato in sede di legge di bilancio, che alza da 40mila a 150mila euro la soglia degli appalti assegnabili senza gara, hanno come obiettivo quello di rimettere in moto il settore. Una riforma del Codice era stata annunciata dal vice premier Salvini per il mese di novembre, poi tutto è slittato, anche se qualche misura dovrebbe essere inserita nel cosiddetto decreto semplificazioni.

IL GIRO RICOMINCIA

Ma pure la riforma porta con sé alcuni rischi: quello di ricominciare da zero, ripetendo l'errore del 2016, se le modifiche saranno troppo radicali e non graduate nel tempo; e, soprattutto, quello di buttare il bambino con l'acqua sporca. I costruttori spingono per esempio, per la reintroduzione dell'appalto integrato, in cui in gara vengono assegnati insieme progetto esecutivo e lavori. Ma proprio la fase del progetto esecutivo è stata quella in cui spesso, attraverso le ormai famigerate «varianti», le imprese hanno cercato di rientrare dai ribassi a cui erano state costrette per ottenere l'appalto, facendo lievitare l'ammontare complessivo dei lavori. In discussione c'è anche la reintroduzione di un istituto tra i più controversi: l'incentivo del 2% sull'importo dei lavori ai dipendenti pubblici che svolgono in proprio la progettazione. Tra i progetti, quanto meno della Lega, c'è anche il ridimensionamento dell'Anac con le sue linee-guida e il ritorno ai tradizionali regolamenti.

Bisognerà vedere che cosa ne pensano i grillini.

Commenti