Politica

Appello all’Unione: dopo Welby fermiamoci

Schieramenti trasversali ai due Poli. Il ds Marino favorevole a un intervento del Parlamento

da Roma

«Fermiamoci, riflettiamo». Prendiamoci tutto il tempo necessario, evitiamo che il turbamento diffuso e la confusione generata dal caso Welby impediscano all’opinione pubblica di comprendere i termini della questione. Impegniamoci affinché non si apra un varco a processi irreversibili verso qualcosa che nessuno vuole. L’argomento in discussione sono le «dichiarazioni anticipate di volontà» (meglio note come testamento biologico), il fantasma dietro l’angolo è la tentazione della «dolce morte», l’esito inatteso è un appello trasversale a fermarsi e pensare.
A lanciare il sasso è Paola Binetti, senatrice della Margherita e capofila dei cosiddetti «teodem». A raccogliere l’invito è Sandro Bondi, coordinatore di Forza Italia. Entrambi, al termine di un convegno promosso dal responsabile azzurro del dipartimento Sanità, Domenico Di Virgilio, hanno ricostruito l’evolversi di una posizione meditata e problematica, che li ha visti dapprima convinti dell’opportunità di legiferare sul testamento biologico, per poi avanzare controcorrente lungo l’impervio cammino del dubbio, alimentato dalla strumentalizzazione politica del dramma di Piergiorgio Welby, dallo smarrimento dell’opinione pubblica, dall’avanzare «di una cultura temibile – spiega Bondi –, di un individualismo libertario per cui ogni desiderio deve trasformarsi in diritto. Si tratta di una nuova ideologia, che fa corpo con le tendenze di massa diffuse e che non so se riusciremo ad arginare».
Non bisogna fare una «gara di velocità», ha incalzato la Binetti, che nell’illustrare le ragioni che alcuni mesi fa l’avevano indotta a depositare un disegno di legge sul testamento biologico, ha lanciato un chiaro segnale a coloro che nella coalizione di governo accarezzano l’idea di giungere per questa strada a determinare per legge il «diritto alla morte»: «Credevo fosse opportuno riflettere su una legge che desse dignità al momento della morte. Credevo fosse interessante – è il messaggio della senatrice Dl – poter dire che in punto di morte voglio ricevere i sacramenti, voglio donare i miei organi, non voglio essere lasciata sola». Poi è arrivato il caso Welby, la campagna mediatica. «Accanimento ideologico», l’ha definito Elisabetta Gardini. La confusione fra eutanasia, testamento biologico e accanimento terapeutico, rispetto alla quale è ancora Bondi a lanciare la sfida: «Piuttosto discutiamo in positivo, parliamo di cura, di lotta all’abbandono». Per scongiurare il cedimento verso «qualcosa che diventerà irreversibile». Isabella Bertolini l’ha chiamata «volontà pervicace di affermare una cultura della morte», e ha ammonito la maggioranza a «non pensare di introdurre surrettiziamente l’eutanasia nel nostro ordinamento».
Un secco no a strumenti «subdoli» di legittimazione della «dolce morte» è arrivato anche da Rocco Buttiglione, per il quale «non c’è il dovere di fare una legge sul testamento biologico. Una legge non è indispensabile: se ci sono le condizioni per farne una buona, bene, altrimenti è meglio non averne alcuna». Fissa «paletti» Enrico La Loggia, che non vede come si possa immaginare «una società in cui non c’è rispetto per la vita dalla nascita alla fine». Invoca freni Di Virgilio, che pur dicendosi favorevole ad una legge sul testamento biologico pone come condizioni «il no all’eutanasia e alla sospensione di nutrizione e idratazione per i pazienti terminali».
Il dibattito è aperto. Nell’Unione, dove la Binetti tira il freno a mano e il cattolico dei Ds Ignazio Marino invece marcia spedito perché «la legge serve». Ma anche nella Cdl, dove Giuseppe Palumbo (Fi) considera «necessario regolamentare la volontà di fine vita», Caterina Lussana (Lega) invita a «restituire al singolo spazi di libertà evitando che degenerino».

Riccardo Pedrizzi (An) inquadra «temi specifici come il testamento biologico» in una «strategia complessiva», dove in discussione c’è «la tutela della vita dal concepimento alla morte naturale».

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