Politica

Arancia meccanica a La Spezia Massacrano per non annoiarsi

Tre amici bastonano un anziano e lo feriscono con una balestra: "Non sapevamo cosa fare". Hanno tra i 19 e i 23 anni. Erano in un camping vicino alla casa dell'uomo

Arancia meccanica a La Spezia 
Massacrano per non annoiarsi

Tre ragazzi aggrediscono ieri notte un pensionato svizzero di 70 anni. Entrano nella sua villetta isolata nella campagna di Ameglia, nello Spezzino, lo bastonato con due pali di metallo e gli sparano con una piccola balestra una freccia nel cranio, il vecchio cade tramortito per terra e, come se non bastasse, i giovanotti tra i 19 e i 23 anni, lo prendono a calci e pugni. Poi se ne vanno. La moglie del pensionato, poco più giovane di lui, chiama i carabinieri, descrive gli aggressori, e in un paio d’ore le forze dell’ordine li arrestano. L’uomo finisce all’ospedale: il dardo si è conficcato tra il cuoio capelluto e l’osso cranico, senza raggiungere il cervello.

Perché questa violenza, chiedono i carabinieri? «Ci annoiavamo, non sapevamo cosa fare e allora...», rispondono indifferenti i ragazzi, come se la loro decisione e il loro gesto fossero la cosa più ovvia di questo mondo. Se ne stavano in un camping, vicino al fiume Magra, la notte era per loro evidentemente lunga e senza distrazioni, e così vanno ad accoppare un uomo, scelto solo perché la sua casa è isolata. Semplice.

Chi legge queste brevi note di cronaca non ha difficoltà a etichettare l’accaduto come un tipico episodio da Arancia Meccanica; violenza gratuita, immotivata, di giovani senza principi morali e religiosi, che scaricano le frustrazioni e il vuoto esistenziale sugli inermi. Ma eravamo agli inizi degli anni Settanta quando Stanley Kubrick girò il suo film: forse non ce ne siamo accorti, sono passati quasi quarant’anni, e ciò che allora destava scalpore e riprovazione oggi sembra la normalità.

Normalità di un mondo giovanile che sfugge al controllo dell’educazione civile, che delinque in modo nichilista, solo per il gusto di fare violenza, di annientare, di distruggere. Ragazzi normali, quei giovani spezzini che picchiano a sangue un vecchio, ragazzi fin troppo normali che trascorrono una vacanza in un camping, forse anche lodati dai loro genitori per una scelta così semplice, così «normale». E c’è da scommettere che - come del resto capita quasi sempre - papà e mamma saranno caduti dalle nuvole quando i carabinieri li avranno avvertiti dell’impresa dei loro figli: «Lui è educato, è rispettoso: non farebbe male a una mosca. Non può essere il responsabile di un simile crimine».

È la solita musica anche questa ascoltata tutte le volte che accadono simili fatti. È facile predicare che le famiglie sono latitanti nell’educazione dei propri figli, e io sono uno di questi predicatori. È facile puntare il dito contro la scuola incapace di governare una realtà complessa come quella giovanile, e io sono uno di questi accusatori. Ma sembra proprio che famiglia e scuola non ce la facciano più a tenere sotto il controllo di principi educativi essenziali e di valori elementari ragazzi e studenti, nonostante tutta la buona volontà che profondono.

E non soltanto famiglia e scuola. Per esempio, in questi giorni, la stampa, la radio, la televisione parlano di elezioni, di politica: quanti giovani ascoltano questo fiume di comunicazione, quanti si interessano alle vicende politiche del proprio Paese, alle sorti dell’Europa? Pochissimi. Eppure, chi ha potuto in altri tempi nutrirsi di pane e politica, sono convinto che non sia mai andato ad accoppare un vecchietto perché si annoiava, anche se la sua famiglia non era stata proprio attenta nell’educarlo e i suoi insegnanti non avevano brillato. Mettiamo allora anche in conto quanta responsabilità hanno la nostra politica, e i mezzi con cui viene comunicata, in questa incapacità di coinvolgere in un progetto di vita i giovani, di sottrarli alle loro frustrazioni, al loro nichilismo.

Dunque, famiglia, scuola, politica, comunicazione... Adesso proviamo a pensare a un ragazzo che ha rispettato le regole della buona educazione, che ha studiato, che si è anche laureato, che però non trova lavoro, che viene umiliato da quel somaro del suo compagno che con una raccomandazione trova un buon impiego, che si è perfino dedicato alla politica ma non ha ricevuto nessun riconoscimento perché è figlio di nessuno: quanta forza deve avere dentro di sé questo ragazzo per continuare ad andare avanti, per non dire che la vita fa schifo, che non si deve credere in niente, perché non c’è niente di sensato e di giusto in cui credere?
È da stupirsi che ci siano giovani che non abbiano dentro di sé quella forza? Non c’è da stupirsi, ma neppure c’è da rassegnarsi e accettare come normale una realtà che non è affatto normale e che registra, per esempio, come un ennesimo e irrilevante fatto di cronaca l’aggressione di un povero anziano da parte di tre ragazzi.

Voltare lo sguardo con indifferenza di fronte a simili episodi significa non accorgersi che c’è un mondo di giovani che ha un disperato bisogno di noi adulti.

E allora dobbiamo avere proprio noi, genitori, insegnanti, politici, uomini della comunicazione la forza per continuare a credere che nostro figlio può crescere bene se gli dedicheremo del tempo per educarlo, che un allievo sa corrispondere con devozione all’impegno culturale del suo insegnante, che un ragazzo può ancora nutrirsi di politica, se questa non è marcia, e sa lasciarsi coinvolgere dai giornali e dalla televisione se la loro comunicazione non è aria fritta.

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