Stile

Aringa e bagno (in ingresso) Alla Vedova si resta di sale

Stuzzicadenti in tavola, «frico» esagerato e Ramolaccio scarso. Un buon ristorante tradizionale friulano? Sarà per la prossima volta...

di Camillo LangoneAddentando l'aringa della Vedova sembra di mettere la bocca dentro un mucchietto di vetri rotti, da quanto è intrisa di sale scricchiolante. Che cosa ha portato l'Incontentabile a vivere un'esperienza quasi horror? Da mesi sognava di raccomandare all'amico lettore un ristorante friulano, siccome per ragioni famigliari si reca spesso a Udine, e da mesi falliva nell'intento. Cercava un buon ristorante di cucina friulana e non pensava di chiedere la luna. Non cercava nella capitale del Friuli un ristorante molisano o un ristorante specializzato in cucina kirghisa, cercava un ristorante friulano: quale poteva essere la difficoltà? Eppure. Cominciò con la Ghiacciaia, locale simpatico e anche romantico grazie alla roggia che scorre a fianco, ma insomma poco più di una birreria. Proseguì con l'Antica Maddalena, un'estetica da ristorante per coppie in cui comanda lei e, perso fra i tonni, gli avocado e i paccheri, qualche piatto tradizionale talmente ingentilito da sembrare evirato. Quali ipotesi rimanevano in campo? Forse il bistellato ristorante Agli Amici? Che però non ha in carta un piatto tipico che sia uno e insiste col mare&monti alla maniera di Antonino Cannavacciuolo e in carta scrive «Costa da...mare: costina di maiale tostata con gamberi rossi» e disgraziatamente all'Incontentabile gli spiritosi mettono il nervoso. Che poi, che cos'è la tradizione? «Legame con l'essenziale», ha detto bene monsignor Camisasca, lasciandoci però con l'ulteriore problema di definire cosa precisamente sia questo essenziale. Proviamo allora con Elémire Zolla: «È la trasmissione dell'oggetto ottimo e massimo». Come dire, nel caso di specie, i cjalsons perfetti, il frico perfetto, il musetto perfetto, la gubana perfetta... Compulsando le guide e consultando gli indigeni, l'Incontentabile si è convinto infine della necessità di raggiungere, ai margini settentrionali della città, la trattoria Alla Vedova, proprietà della famiglia Zamarian addirittura dal 1895. Nel sito internet c'è scritto che «nulla è cambiato dai tempi in cui in osteria con Felicita (la vedova dalla quale il nome, ndr) si preparavano i minestroni e le carni e le salsiccie a peso sulla brace e si vendeva il vino ed il sale». Impossibile però che nel 1895 si venisse accolti, all'ingresso, da due lavandini ossia dall'antibagno. Dunque alla Vedova si rimane di sale due volte: al momento degli antipasti, per colpa dell'aringa, e subito all'entrata, per colpa del cesso. Una volta, non solo nel 1895, anche molto dopo, nei locali pubblici i bagni erano nascosti laggiù in fondo, soltanto in questo pazzo 2016 può succedere che siano il biglietto da visita. Ovviamente non si tratterà di una scelta ma di un'imposizione, il colpevole sarà lo Stato le cui tiranniche normative danneggiano l'estetica dei ristoranti e il portafoglio dei ristoratori. Forse non esisteva un altro posto dove inserire bagni a norma, resta che l'effetto è tremendo. Nel corridoio si torna all'antico, è tappezzato di foto in bianco e nero o a colori sbiaditi raffiguranti clienti famosi del tempo che fu. Purtroppo sono tutti o quasi tutti morti, compreso un Alberto Sordi beato fra le donne, e viene tristezza, e scappa l'appetito. Si viene fatti accomodare in una grande sala dotata di fogolar, il classico focolare friulano dove si cuoce la carne, con le pareti ricoperte da trofei di caccia, pentole di rame e altri ammennicoli. C'è parecchia gente, anche una tavolata di soli uomini tutti in maglione come fosse un dress code: per l'Incontentabile, che in maglione non va nemmeno a buttare la spazzatura, un altro duro colpo. Sul tavolo giace una tovaglia gialla all'apparenza dell'epoca di Alberto Sordi e sulla tovaglia un set sale-pepe- stuzzicadenti, pure quello dell'epoca di Alberto Sordi. Quand'è l'ultima volta che in Italia si è mangiato davvero bene in un ristorante con saliera-pepiera- stuzzicadentiera? Forse quando Alberto Sordi era giovane. L'aringa, dicevamo, necessitava di un miglior dissalamento, mentre il ramolaccio di contorno è un piacere lessicale (per chi ricorda «La bela la va al fosso / ravanei, remulass, barbabietul e spinass / tre palanche al mass») e non un piacere gastronomico, essendo difficile cavar sapore da una rapa. I cjalsons (per i non friulani: ravioli semidolci) non son troppo diversi da quelli della Ghiacciaia. Il musetto con la brovada (per i non friulani: similcotechino con similcrauti) è inferiore a quello della Ghiacciaia. Il frico (per i non friulani: frittatone di formaggio e patate) è superiore a quello della Ghiacciaia, qui l'unico appunto riguarda la dimensione: potrebbe saziare una famiglia numerosa. Impensabile dopo tali porzioni affrontare un qualsivoglia dolce, l'unica è finire lo Schioppettino e cercare sull'iPad una citazione utile per le belle e bionde pronipoti della vedova, che fra l'altro sembrano uscite da una canzone di Paolo Conte o da un romanzo di Piero Chiara o da un film di Dino Risi.

Ah, eccola, è una frase di Eliot: «La tradizione non si può ereditare; e chi la vuole deve conquistarla con grande fatica».

Commenti