Cronache

È arrivata l'era del comunismo.com

Una volta c'era il mito dell'acquisto. Oggi, nel web-evo, mettiamo in comune ciò che possediamo. Così la crisi ha cambiato costumi e consumi

Smartphone
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Una volta si comprava casa, si andava al ristorante, si saliva su un taxi, si acquistavano auto e biciclette, si pagava il canone del telefono, si appendevano le foto dei bambini in ufficio, si faceva la spesa al supermercato, si collezionavano dischi. Si possedeva, al massimo si affittava, raramente si prestava qualche libro con la segreta paura di non rivederlo più. Questo però è il passato. Nel web-evo il senso del possesso cantato da Franco Battiato è pre-alessandrino, non post-moderno. Ora si condivide, si mette in comune ciò che si ha, e la condivisione rende. Frutta risparmi e anche guadagni. E consente di godere di beni e servizi che non ci si può permettere.

Basta taxi e code in auto, in città si circola con il bike-sharing, sulla sella di un motorino condiviso o con il car-pooling. Per spostarsi nel fine settimana si fa l'autostop virtuale su BlablaCar. Nella pausa pranzo si cercano commensali sui network specializzati per parlare di tutto fuorché dei colleghi; alla sera si compra dal vicino una porzione della sua cena o ci si consegna a qualche «social-chef»: anfitrioni che a casa propria cucinano manicaretti al prezzo di una pizza.

Per le vacanze la scelta è ampia: si può barattare un breve soggiorno in un Bed&breakfast in cambio di alcuni lavoretti, oppure trasferirsi in una villa (meglio se con piscina o collocata in qualche paradiso tropicale) per tenere lontano i ladri o accudire cani e gatti. O magari si sperimenta il «couchsurfing», cioè scivolare non sulle onde ma da un divano all'altro, farsi ospitare da uno sconosciuto e promettergli pari disponibilità. E per scoprire i segreti di una città ci si affida a un «tourist angel». È tutto a portata di app sul telefonino.

La musica si ascolta in streaming dal computer. La baby sitter si sceglie non più tra schiere di ragazzine provviste soltanto di buona volontà, ma tra mamme iscritte alla banca del tempo o fra le «tagesmutter» che convertono i propri appartamenti in mini-asili. Frutta e verdura si raccolgono negli orti condivisi che si stanno moltiplicando nelle periferie italiane, e gli avanzi finiscono in uno dei vari servizi che recuperano cibo e lo redistribuiscono a chi non ne ha. Il crowdfunding è una forma di microfinanziamento per organizzazioni e progetti che faticano a trovare sostegno. Anche il collegamento wi-fi può essere condiviso, a seconda delle compagnie telefoniche, e perfino la scrivania in ufficio in base ai turni o al tele-lavoro. E se sei un lavoratore fuorisede , niente monolocale in solitudine da arredare, pulire e mantenere: meglio un appartamento grande in un quartiere «trendy», con tanti letti e altrettanti coinquilini con cui spartire spese, fatiche e chiacchiere.

FATTORE FIDUCIA

«Share», condividi: non c'è sito internet privo di quel bottone da cliccare per collegarsi alle reti sociali di Facebook, Twitter, Instagram e via elencando. Condividere è l'imperativo del web, diffondere, aggregare, coinvolgere. Sulla rete circola una formula semplice: Uber (il grande concorrente dei taxi) non possiede un'auto, Facebook non produce un contenuto, Alibaba (negozio virtuale a capitale e prodotti cinesi in prepotente crescita) non ha un inventario, Airbnb (network per lo scambio di case) non ha una stanza. Oggetti, vetture, immobili, idee sono messi a disposizione non da società specializzate, ma da persone normali nei periodi in cui non li utilizzano.

Gli americani l'hanno battezzata sharing economy, economia della condivisione. Un'etichetta che presto è diventata un grande ombrello che copre tante cose, con il rischio di perdere significato. Il sito collaboriamo.org, che è una bussola ma anche un tentativo di approfondire la svolta culturale (se c'è) insita in questo fenomeno, spiega che l'economia della condivisione nasce e cresce da tre elementi: il risparmio, il web, la lotta allo spreco. Ma non va dimenticato un quarto aspetto che li condensa tutti: la fiducia. Senza fiducia (e senza i feedback positivi lasciati sui social a testimonianza del trattamento ricevuto), la condivisione non avrebbe sviluppo. Tant'è vero che il fenomeno non sfonda nei Paesi più chiusi, come in molte nazioni asiatiche. In Italia in pochi anni sono nate 138 piattaforme collaborative.

ADDIO AI FAVORI

Risparmiare è l'esigenza primitiva. I pionieri dello sharing sono i millennial, i giovani oggi precari e squattrinati che diventeranno i consumatori di domani, i quali non vogliono rinunciare al gusto di muoversi, viaggiare, assaggiare, scoprire, e non si fanno riguardi a chiedere ospitalità e cibo. Ma a chi chiedere? La cerchia delle amicizie tradizionali non è in grado di soddisfare ogni desiderio, mentre quelle virtuali sì. Privo di internet e delle reti sociali, il sistema della condivisione globale non conoscerebbe dimensioni così massicce. Lo sconosciuto diventa un partner, l'amicizia chiesta su Facebook si trasforma in opportunità concreta, il virtuale è tramutato in reale. Chiunque può spremere un reddito da ciò che era stato soltanto un costo.

Il resto è fatto dalla crescente sensibilità anti-spreco. Non è un generico rispetto dell'ambiente: l'ecologismo è una bandiera ammainata, troppo legata a sterili rivendicazioni anti-capitaliste e no-global. Qui il pragmatismo fa terra bruciata di ideologie e presunte superiorità morali; spariscono le distinzioni tra prodotti buoni e cattivi, equo-solidali o frutto di speculazioni, e restano i beni sottoutilizzati nella vita quotidiana che possono essere valorizzati. La lotta allo spreco consente di sfruttarli fino in fondo (soprattutto cibo, ma non solo) mantenendo lo stile di vita abituale, spendendo gli stessi soldi di prima, senza sentirsi in colpa se non si acquistano prodotti no-logo perché nessuno si sogna di discutere la sacrosanta libertà di rifornirsi dalle multinazionali.

LO SFRUTTAMENTO

È un uso intensivo di ciò che si possiede: ho un'auto, un motorino, un appartamento, una serie di competenze, e li sfrutto fino in fondo a uso non esclusivamente personale perché un domani potrò essere ricambiato a costo zero. Quattro pendolari che viaggiano sulla stessa auto si dividono le spese, evitano sprechi e abbattono le polveri sottili. Il guadagno non è più nemico dell'ambiente, l'attenzione al sociale va a braccetto con il profitto senza più dire che uno è meglio dell'altro.

Tuttavia non è appena una questione di soldi. L'economia della condivisione è nata per difendere il portafogli, ma dagli ambiti della mobilità e del turismo (auto, ospitalità, ristorazione) si sta allargando ad altri settori: recupero del cibo avanzato, offerte di lavoro, assistenza domiciliare, perfino attività culturali come esperienze di teatro in casa o la creazione di biblioteche condivise. L'antesignano è il Progetto Gutenberg, una libreria elettronica di testi privi di copyright; una decina di anni fa è nato invece il bookcrossing: leggere un libro e poi abbandonarlo nel mare ignoto delle panchine o delle sale d'attesa come un messaggio in bottiglia. Qualcuno sostiene che si tratta di una moda passeggera, figlia dell'attuale stagione di incertezze e precarietà. Per altri invece questo è l'inizio di una svolta radicale, dove la proprietà cede il posto al prestito, al noleggio, al riuso: nei consumatori del futuro l'atavico bisogno di accumulare beni si sbriciolerà in un'economia non più del possesso ma del servizio. Per Jeremy Rifkin, guru pacifista della green economy, «un nuovo sistema economico – il Commons collaborativo – sta facendo ingresso sulla scena mondiale». Lo scrittore Simone Perotti nella prefazione al libro di Gea Scancarello «Mi fido di te» si spinge a prefigurare addirittura un Nuovo Ordine Morale.

ECONOMIA POP

Di certo, l'economia della condivisione non è un fenomeno di nicchia come il commercio equo-solidale. Secondo stime Pwc/collaboriamo.org, la sharing economy (ospitalità, raccolta fondi, lavoro on-line, car sharing, streaming sul web) oggi muove nel mondo 15 miliardi di dollari contro 240 del noleggio tradizionale (auto, dischi, libri, attrezzature e macchinari, hotel e B&B) ma tra 10 anni, nel 2025, il giro d'affari sarà analogo: 335 miliardi di dollari per entrambi i settori, con il mercato più innovativo che moltiplica il proprio valore di oltre 20 volte. Airbnb, la piattaforma più diffusa per scambiarsi casa, in pochi anni ha raggiunto - come fatturato e numero di camere gestite - i volumi di un colosso dell'ospitalità come la catena alberghiera Intercontinental. Come tutte le novità, l'economia della condivisione si porta dietro anche problemi, anche perché la tecnologia corre più veloce di chi deve regolamentarla. La generosità e lo spirito di collaborazione può trasformarsi in business? Bisogna pagare le tasse sugli affitti-lampo? Chi controlla qualità e veridicità delle offerte? Come regolare profili di concorrenza sleale?

Nel mondo si procede per esperimenti. Ad Amsterdam il comune raccoglie la tassa soggiorno da Airbnb. Negli Stati Uniti un gruppo dedito al couchsurfing ha preferito aprire una nuova piattaforma quando si è reso conto che i fondatori avevano trasformato la loro creatura in una macchina da soldi. I proprietari di case aprivano gratis la porta agli sconosciuti mentre i gestori del sito ci guadagnavano sopra. Una filosofia di vita contro un nuovo business, un dilemma per ora irrisolto.

Stefano Filippi

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