Politica

Autodistruzione di un partito

E se alla fine a restare sotto le macerie della famosa «scossa» preconizzata da Massimo D’Alema ai danni del premier fosse invece proprio il partito di Baffino, il Pd? Il sospetto non è venuto solo a noi, cattivoni del Giornale. No, ne ragionano e ne scrivono prestigiosi e navigati commentatori dall’inequivocabile imprinting di sinistra (come Giampaolo Pansa, che si augura papale papale che il Partito democratico muoia, visto che ha fallito) o dal passato fascista ma riscattato dalla fondazione di Repubblica e da decenni spesi a indicare la via alla sinistra, come Eugenio Scalfari.

Il più sorprendente (e illuminante) è proprio l’outing del Fondatore che ieri, nella sua omelia domenicale, paventava senza mezzi termini di essere «alla vigilia d’un’implosione» del Pd. Severo e sconsolato, così Scalfari fotografa la situazione nel partito che sente un po’ come una sua creatura: «Non è avveduta la formazione di gruppi e gruppetti, il pullulare di capi e capetti, lo sbriciolamento del comune sentire, la velleità di formulare programmi fondati su parole vuote, affermazioni generiche, ricerca e costruzione di nicchie incapaci di governare ma capacissime di impedire ogni azione efficace». E più avanti, sempre a proposito della guerra civile scoppiata tra i democratici sulle candidature alla segreteria: «Un tentativo di dividere l’atomo, che francamente servirebbe solo a nascondere la rissa generale e l’implosione».

Parole già durissime di per sé, ma che acquistano un significato tombale se si pensa che a vergarle è il guru di Repubblica, cioè del quotidiano che da due mesi a questa parte sta conducendo una campagna senza precedenti, violentissima, al limite e spesso oltre il limite della scorrettezza, per demolire Silvio Berlusconi e spalancare la strada della riscossa al Pd. Ecco, dopo settimane passate a gettar fango e spargere veleni, dopo aver inquinato l’aria politica italiana, dopo aver sputtanato (è il caso di dirlo) tutto il Paese all’estero con l’aiuto di compiacenti testate straniere, dopo aver evocato ogni giorno l’imminente caduta del premier, il giornale-partito si trova a registrare risultati francamente imbarazzanti.

Primo, il Cavaliere, sotto questo fuoco di fila, ha vinto ben due tornate elettorali consecutive nel giro di due settimane.
Secondo, la sua popolarità non è stata scalfita. E a dirlo non sono sondaggisti ingaggiati dal Pdl, ma Renato Mannheimer che sul Corriere della Sera registra un calo di appena due punti, fisiologico per un governante alle prese con una grave crisi finanziaria, e scrive: «La popolarità di Berlusconi resta dunque assai estesa, come raramente è accaduto per altri leader in passato».

Terzo, i grandi della Terra se ne sono fatti un baffo dei proiettili di carta e sterco sparati ossessivamente ad alzo zero da Repubblica e dai suoi fratelli italiani, spagnoli, inglesi e americani. Malgrado l’auspicio un po’ masochista che avvenisse il contrario, Barack Obama ha ricevuto l’amico Silvio alla Casa Bianca e ha proclamato al mondo: «Quest’uomo mi piace, andiamo d’accordo». I leader del G8 verranno regolarmente in Abruzzo con le loro consorti in barba a surreali petizioni di presunte intellettuali sedicenti italiane. E il Cavaliere continua a ricoprire un ruolo importante e delicato sullo scacchiere internazionale.

Quarto, i presunti beneficiari della campagna lenzuola bollenti non solo hanno perso le elezioni, ma si stanno allegramente scannando tra di loro alla disperata ricerca di un leader che non c’è e che non ci può essere, dal momento che appena qualcuno mette fuori la testa trova stuoli di compagni democratici pronti a tagliargliela. Così finiranno per accontentarsi del desolante Dario Franceschini, l’ex vicedisastro, o dello sconfortante Pierluigi Bersani, sbertucciato persino a casa sua. A meno che, nel tentativo - a questo punto non si sa se scriteriato o saggio - di accelerare l’autodistruzione, non decidano di puntare direttamente sul Nuovo. Ovverossia sul Vuoto: quella Debora Serracchiani che non distingue Moro da Berlinguer e che, richiesta di un parere su coppie di fatto, diritti civili, testamento biologico, scuola pubblica, missioni militari all’estero, sicurezza e immigrazione, con grande personalità ha balbettato: «Il problema non è quello che penso io». Ha ragione, signora. Il problema è molto più grave.

Il problema è che mentre Repubblichella 2000 pateticamente continua a scavare nel truogolo pugliese (senza peraltro cavarne un ragno dal buco), da tutta questa vicenda rischiamo di uscire, oltre che nauseati, senza un partito d’opposizione, rimasto schiacciato tra le sue inadeguatezze e le demenziali strategie gossippare dei suoi maître à penser. Con la possibile beffa che il colpo di grazia arrivi proprio da Bari, dove dietro alle cortine fumogene delle mille piste che non portano da nessuna parte e del «vorticoso giro di eventi mondani» (ma va’?), la vera inchiesta, quella sulle tangenti nella sanità, punta dritta dritta su pezzi grossi del Pd pugliese.

Ma forse non ce ne sarà bisogno. A liquidare il sogno democratico, con tante grazie a Eugenio Scalfari ed Ezio Mauro, ci penseranno prima loro: Walter, Massimo, Piero, Dario, Pierluigi.

E l’ineffabile Debora.

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