Stile

Come avere un figlio modello

di Erica Orsini

«Scusa mamma, ma hai visto che roba fa questo?». Mio figlio guarda schifato il sito web dello stilista emergente per il quale dovrà fare il primo photoshoot della sua vita di sedicenne. Mai visto un simile entusiasmo. Vabbè che non lo pagano, però gli regalano tutte le foto che gli faranno e magari ci scappa anche qualche scatto su Hero. Per uno che voleva trovarsi un lavoretto part-time e racimolare un po' di soldi durante gli ultimi due anni di scuola che precedono l'università, tutto sommato fare il modello a tempo perso non è da buttar via. E a Londra è un'esperienza piuttosto comune tra i ragazzini: c'è chi fa il cameriere alle feste dei genitori e chi fa il modello, per loro è un lavoro come un altro. La maggior parte dei maschi adolescenti a una vita in passerella con il cappotto avvolto sui fianchi e il busto color avorio non ci ha mai pensato. Figuriamoci: loro che hanno passato tutta l'esistenza in uniforme scolastica e che in centro ti seguono a distanza, vestiti come per andare in palestra, che cosa gliene frega della sfumatura del maglione disegnato da Tizio Caio Sempronio. Epperò c'è sempre la possibilità che ti capiti la fortuna di fare una campagna minore per qualche azienda sportiva e allora si che la cosa diventa interessante, magari ti regalano le scarpe da calcio. Le agenzie d'intermediazione fanno scouting nei mesi estivi, ai festival musical-transgenerazionali, quelli dove si ritrova l'intero anno di scuola per festeggiare i risultati degli esami, oppure dimenticarli, annegandoli nell'alcool. I fotografi si aggirano noncuranti tra folle di adolescenti rintronati e sorridenti che per tre giorni si gustano il primo assaggio di vera indipendenza, comunque felici perché stare insieme, alla fine, è sempre una figata anche se ti capita di vomitare nelle scarpe di qualcuno.

Gli agenti sono gentili, chiedono il permesso di scattarti qualche foto, si fanno dare un indirizzo email eppoi, se va bene, si fanno vivi. A volte t'invitano ad un meeting per facce nuove, altre qualche giovane stilista prende la palla al balzo per farsi pubblicità senza pagare i modelli. I photoshoot spesso avvengono in edifici senza ascensore, una stanza con uno sfondo di carta bianca sulla parete e via, truccatori e assistenti tutti giovani, i soliti caffè annacquati per le mamme accompagnatrici. I ragazzi arrivano trafelati subito dopo la partita di rugby del sabato, «cavolo mi sono preso un colpo sui denti, il labbro è un po' gonfio, ma che sarà, per qualche foto...». Una stretta di mano con lo stilista che è l'unico vestito normale eppoi, «ma mica mi devono truccare nooo...». Quando escono dalle mani del truccatore le mamme pensano che hanno un figlio bellissimo e loro che la prossima volta è meglio andare a pulire i tavoli da Pret-a-manger, almeno non si vergogneranno come ladri. Qualcuno si vede che è un po' più portato, si sistema il ciuffo dei capelli corvini, si sbircia allo specchio, in fondo non sono male con questa giacca. Gli altri si guardano attorno un po' sconcertati e un po' divertiti. «Ma sei sicuro che questi pantaloni non sono alla rovescia?» chiedono all'assistente al guardaroba che a sua volta gira la domanda allo stilista. «No vanno cosi, è fashion» risponde l'interessato per nulla scandalizzato tanto lo sa che le sue braghette a righe per l'estate questi buzzurri non le metteranno mai. Lo sanno tutti. Per ora, sono solo modelli part-time, studenti prestati al mondo della moda.

Chi lavorerà lo farà quando vuole, durante le vacanze scolastiche, qualche weekend, a meno che non ci sia la partita di rugby, cricket, hockey o la regata che allora nemmeno a pensarci. Se si viene chiamati per qualche London Fashion Week siamo contenti perché finalmente si guadagna, ma «chissà cosa vorranno che ci mettiamo addosso». E alla fine, quando si lasciano alle spalle quelle due ore trascorse a farsi immortalare, «mamma per favore giurami che non metti le foto su Facebook perché ti ammazzo». Il lavoro più noioso che abbiano mai fatto, però le foto le vogliono vedere.

Così dai, per curiosità.

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