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«Le banche taglino i tassi, se no addio ripresa»

Alessandro Ambrosi, da imprenditore e presidente della Confcommercio e della Camera di commercio di Bari, le piccole imprese le conosce bene. Come spiega che il maxi prestito della Bce alle banche, destinato a riattivare il credito alle aziende, si è risolto in un flop?

«Perché le banche la liquidità ce l'hanno: quello che non c'è, già da parecchi mesi, è la richiesta di credito, perché le imprese si sono stancate di ricevere risposte negative. Qui nel Mezzogiorno su cento aziende che chiedono un prestito, solo due riescono ad ottenerlo: quindi, la maggioranza neanche ci prova più».

L'acqua c'è ma il cavallo non beve, per citare la famosa frase di Keynes: è d'accordo?

«Guardi, in realtà qualche cavallo che vorrebbe bere per ricominciare a correre, se vogliamo restare nella metafora, c'è: ma esiste un problema di fiducia. Se un imprenditore chiede un prestito per comprare nuovi macchinari, ad esempio, chi gli garantisce il rientro dell'investimento fatto? E che succederà se aumenteranno le tasse?».

Quindi anche chi potrebbe investire, ci rinuncia?

«Purtroppo spesso è quello che accade. Senza contare i tanti cavalli che non vogliono bere più, cioè le aziende che sono al punto di non ritorno, non chiudono ma vegetano, in debito d'ossigeno: magari vorrebbero ristrutturare i prestiti arretrati, ma anche questo è difficile. Dall'ultimo trimestre del 2009 le aziende finanziate in Italia sono calate del 18%, passando dal 22,2% al 4,2%, ma al Sud superano di poco il 2 per cento. Così, molti finiscono nelle mani degli usurai».

Servono a qualcosa i Confidi, i consorzi di garanzia creati proprio per agevolare le piccole imprese nell'accesso dei finanziamenti?

«Hanno molte richieste, anche qui al Sud, ma, benché offrano garanzie maggiori, si scontrano sempre con la rigidità degli istituti di credito. Il fatto è che nessuno è disposto a rischiare sull'iniziativa imprenditoriale, e tantomeno le banche».

Gli istituti si giustificano, appellandosi ai famosi parametri di Basilea 3, che impongono accantonamenti onerosi a chi presta a un'azienda che non dia sufficienti garanzie di solidità: e la maggioranza delle pmi non può farlo.

«D'accordo, ma le regole di Basilea consentono anche a ogni banca di farsi il proprio rating. Cosa che fanno, ma senza considerare i problemi del territorio. Come fanno invece le banche di credito cooperativo, che qui al Sud erogano più prestiti dei grandi istituti nazionali: è quello che chiamo il credito a km zero».

Più attenzione al territorio: questo volete dalle banche, quindi?

«Non solo: devono anche abbassare i tassi, troppo alti in rapporto alle percentuali di utile che le aziende - quelle poche che ce la fanno - riescono a ottenere. Attualmente sono al 6/6,5%, penso che possano abbassarli di circa due punti, visto che hanno avuto dalla Bce i soldi praticamente gratis».

Mentre al governo che cosa chiedete?

«Per prima cosa ridurre la pressione fiscale, che ci sta ammazzando, e dare un taglio alla burocrazia con i suoi tempi biblici. Al Sud da tempo chiediamo infrastrutture efficienti, dall'alta velocità alle autostrade, ma poco è stato fatto. Poi c'è il problema dei debiti della Pubblica amministrazione con le aziende: vanno saldati, anche a costo di sforare il patto di stabilità».

Bisogna cambiare le regole, quindi.

«Se qualcuno ha un infarto, posso infrangere i limiti di velocità per portarlo all'ospedale e salvargli la vita: lo stesso vale per le imprese.

Bisogna salvare quelle che hanno resistito alla crisi, perché sono quelle che hanno le carte in regola: le altre sono già morte».

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