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"Barack ti amiamo", Obama conquista Il Cairo

Il presidente Usa in Egitto. L’atteso discorso all’Università Al Azhar applaudito 33 volte. Ripetuti gli inviti al dialogo e alla comprensione, con un taglio radicale rispetto all’era Bush. "Mai in guerra con l’islam". In Afghanistan non ci siamo andati per nostra scelta

"Barack ti amiamo", Obama conquista Il Cairo

Lo hanno applaudito 33 volte; una ragazza lo ha interrotto urlandogli «Barack ti amiamo». Al Cairo, nell’aula magna dell’Università Al Azhar, non nel cuore del Wisconsin o in una città europea. Barack Obama aveva annunciato «un nuovo inizio» nelle relazioni tra l’Occidente e l’islam ed è stato di parola; perlomeno nelle intenzioni.
Un discorso storico? Senza dubbio sì, sebbene politicamente povero di contenuti. Chi si aspettava l’annuncio di negoziati o accenni alla nuova strategia americana in Medio Oriente è rimasto deluso. Il presidente degli Stati Uniti voleva parlare al cuore del miliardo di musulmani sparsi per il mondo, anziché alla mente degli uomini politici. E lo ha ribadito incontrando sei giornalisti musulmani. Desiderava cancellare, per sempre, l’immagine di un’America, quella di Bush e dei neoconservatori, che imponeva con la forza la propria volontà. Missione compiuta. Obama ha sedotto gli islamici con un messaggio che verosimilmente non sarebbe dispiaciuto a Gandhi, ricco di citazioni dal «Sacro Corano» ma anche dalla «Sacra Bibbia» e dal Talmud.
«Fino a quando le nostre relazioni saranno definite dalle differenze, si rafforzeranno coloro che diffondono l’astio anziché la pace, i conflitti anziché la cooperazione. E questo ciclo di sospetti e di discordia deve terminare». Ma perché ciò avvenga «è necessario confessare apertamente i sentimenti che teniamo nascosti nel cuore o che troppo spesso confidiamo a porte chiuse».
Ha pronunciato due parole in arabo, «Salam Aleikum», ovvero che la «pace sia con voi», e per 90 minuti si è sforzato di «combattere gli stereotipi». Sull’islam? Senza dubbio. Obama ha ricordato che questa religione «ha una tradizione di tolleranza, come dimostrato nella storia dell’Andalusia e di Cordoba ai tempi dell’Inquisizione», ma anche oggi: «L’ho conosciuta da bambino in Indonesia». E ha ricordato che suo padre era un musulmano, con slancio genuino. Il discorso di ieri non era solo politico; bensì personale e sorretto da convinzioni profonde. Sebbene convertito al cristianesimo, Obama sente il richiamo delle radici e non le nasconde più pubblicamente. Quando afferma «l’America non è e non sarà mai in guerra con l’islam», parla con l’anima, parla a se stesso; è sincero, come quando ricorda che il mondo musulmano è stato umiliato dal colonialismo e penalizzato dalla Guerra fredda.
Ma Barack è americano e occorre che gli islamici, a loro volta, sfatino i luoghi comuni sull’America «che non è un impero che cura solo i propri interessi, ma una delle maggiori fonti di progresso che il mondo abbia mai conosciuto». Ha ricordato il trauma dell’11 settembre, riconoscendo che «la rabbia e la paura ci hanno indotto ad agire contro i nostri valori», ma ha ribadito che «affronterà senza tregua gli estremisti violenti che pongono una grave minaccia alla nostra sicurezza». Li ha definiti così: estremisti violenti. In tutto il discorso non ha pronunciato la parola terroristi.
Per non offendere, per rimarcare la distanza dall’America neocon, per dimostrare di essere davvero equo. Il legame con Israele? «Non si spezzerà mai», ma la situazione del popolo palestinese «è intollerabile». Obama ha ribadito la posizione sull’Iran ed è apparso generico sulla globalizzazione, i diritti delle donne, la democrazia. Volutamente. Non voleva dividere, ma ispirare. «È più facile cominciare una guerra che finirla. È più facile incolpare gli altri che noi stessi. È più facile vedere cosa è differente piuttosto che cosa ci unisce. Ma dobbiamo scegliere la strada giusta, non quella più facile». Un gran finale hollywoodiano e, come prevedibile, salutato da un’ovazione.
Poi Obama si è concesso 80 minuti di svago. In maglietta blu e pantaloni bianchi ha visitato le Piramidi, si è fatto scattare una foto ricordo sotto la Sfinge.

Come un turista qualunque, come un americano venuto in pace.

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