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Barrichello domina il Gp di Monza

Il pilota brasiliano della Brawn punta al mondiale e si vendica del passato in Ferrari: "Michael ? Grande, però... Se fossimo entrati in una gabbia di bestie feroci io ne sarei uscito vivo, lui non so". Ferrari terza: se Raikkonen si fosse svegliato prima

Barrichello domina il Gp di Monza

Monza - Può un Barrichello diventare Schumacher? È possibile che un animale da pista abituato a nutrirsi dei rimasugli lasciati sull’asfalto da quella bestia feroce di un tedesco, diventi il capo del branco? E poi: è umanamente credibile che il dolce brasiliano, finalmente libero dalla presenza ingombrante dell’enorme mascelluto teutonico, si sia sentito in grado di esprimere tutto il proprio talento?

Il dibattito è aperto. Perché Rubinho ha vinto il Gran premio d’Italia. Un tris per lui dopo i due centri 2002 e 2004 quando vestiva di rosso e il viso era tristemente felice e non raggiante come ieri dopo il secondo successo in tre Gran premi. C’è qualcosa di meraviglioso e commovente nella carriera di questo ormai giovane vecchio di 37 anni che qui nel Parco ha saputo ridurre a 14 i punti di distacco dal compagno e leader del mondiale, Jenson Button. Meraviglioso e commovente perché neppure i giornalisti del Paese suo credono in lui. Di più. Forse intimamente sperano che si tratti solo di un abbaglio, visto che si domandano sottovoce «e se questo ci vince il mondiale?». Statene certi: trattasi di preoccupazione vera. Il loro dubbio è condiviso da un’intera nazione che, per spirito patriottico, fa e, in caso di mondiale, farà festa, e intanto trema pensando a quanto ingoierà amaro, a quanto sarà dura rimangiarsi tutto quel che è stato detto e scritto e inscenato sul povero Rubinho. O meglio: su “Rubinho Pedechinelo”, la gag televisiva che per anni ha accompagnato le sue imprese ferrariste. “Pedechinelo”, storpiatura del cognome e gioco di parole per alludere alle pantofole come immagine di un uomo che nella vita non combina e non combinerà nulla se non parlare sempre a vanvera.

E ingoiare amaro è toccato a sua immensità motoristica Michael Schumacher, quando gli hanno riferito le dichiarazioni dell’ex compagno dopo la vittoria, quando Rubens, a chi gli chiedeva che cosa significasse questa stagione dopo i frustranti anni trascorsi alla Ferrari, ha risposto deciso e pacato al tempo stesso. «Significa molto, significa che posso dimostrare chi sono veramente... Per molti anni la gente si è chiesta perché non avessi lasciato la Ferrari prima: rispondo dicendo che avevo la miglior macchina disponibile e che avevo come obiettivo di battere un signore campione del mondo di nome Michael Schumacher. Un grande, un grande in pista. L’ho detto altre volte e lo ripeto: probabilmente lui aveva più talento di me, ma sono certo che se qualcuno ci chiudesse in una gabbia di tigri, io uscirei vivo, lui non ne sono sicuro...». Metafora, poesia, sassolino tolto elegantemente dalla scarpa per alludere che da solo davanti alla sfida lui se la sarebbe cavata, mentre Michael, avendo sempre avuto bisogno dell’appoggio di altri, chissà cosa avrebbe fatto...

Di certo c’è che Rubinho Barrichello Pedechinelo è andato oltre nel togliersi sassolini: «Questa è la vita, e non dico certe cose per criticare... Io alla Ferrari mi sono divertito e se adesso sono un pilota migliore lo devo anche a quegli anni perché, io, non ho mai smesso di crescere». E in un crescendo: «Ma la dote più importante di tutte è credere in se stessi: io non ho mai perso la fiducia. L’anno scorso, a Natale, ero un pensionato, però non ho mollato. Neppure a gennaio, quando non avevo un’auto, e così a febbraio, quando ancora non sapevo se sarei mai tornato a correre. Ricordo come fosse ieri il giorno in cui chiesi a Button, che aveva appena provato la Brawn Gp, che macchina fosse. Mi rispose “è grande Rubens, una grande macchina...”». Accanto a lui, l’inglese conferma annuendo e forse maledicendo il giorno in cui gliel’ha detto. Anche lui convinto che Pedechinelo fosse ormai una pantofola di pilota. E invece se lo ritrova addosso ad alitargli sul collo, perché l’uomo pantofola è diventato Schumi e non mollerà. Stavolta no.

Come sabato sera, quando Pedechinelo si è impuntato, quando ha detto e urlato al proprio team che «no! Non mi sostituirete il cambio affaticato nel Gp del Belgio. Qui posso vincere, è posso dire la mia per il titolo mondiale. Preferisco rompere in gara che non giocarmi la mia chance». Questo ha detto per non dire quel che pensava veramente: mi è bastato Schumi, nessuno tocchi la mia macchina per avvantaggiare Button. E mister Ross Brawn, che lo aveva con sé ai tempi della Rossa, ha capito che con il fuoco era meglio non scherzare. Forse l’ha capito anche Schumi. Sul tema tigri la sua portavoce dirà: «Non credo che Michael voglia lottare con le tigri, ma se Rubens desidera, è libero di entrare da solo nella gabbia».

Francamente, ora, Pedechinelo è libero di far quel che vuole.

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