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Basta esodi degli insegnanti Gelmini: più prof «autoctoni»

da Roma

«Se non si cambiano le regole questa scuola è destinata al declino. Specie se si continua a destinare oltre il novantasette per cento del bilancio dell’istruzione alle retribuzioni, tralasciando gli investimenti sulla formazione. Purtroppo negli anni la scuola è stata utilizzata come un ammortizzatore sociale. Ma se continuiamo di questo passo imploderà».
L’allarme lo lancia il ministro dell’Istruzione, Maria Stella Gelmini, commentando al Giornale i dati che emergono da uno studio condotto da Bankitalia e ministero della Pubblica istruzione. Una fotografia che racconta insegnanti insoddisfatti, anziani, poco preparati e desiderosi di cambiare istituto (se non lavoro), in cerca di un innalzamento nelle funzioni e nelle retribuzioni, oltre che un impiego nelle scuole migliori. Dati «oggettivi» secondo il ministro «come oggettivo è che gli insegnanti siano poco pagati, tra i meno pagati in Europa».
A finire sotto la lente di ingrandimento della ricerca è innanzitutto l’eccesso di turnover dei professori per cui, si legge, «più di un quinto cambia scuola da un anno all’altro». Un fenomeno non dovuto esclusivamente agli incarichi dei «precari» ma che coinvolge «anche un terzo dei docenti di ruolo».
Un turbillon che ha come effetto immediato la mancanza di continuità didattica con gravi ripercussioni sul percorso di crescita e apprendimento degli studenti. Un fatto grave perché, sottolinea il documento, «la quotidiana azione dei docenti rappresenta la principale determinante, assieme alle caratteristiche innate e al contesto socio-economico, degli apprendimenti degli studenti». «Stiamo studiando dei correttivi», ricorda il ministro dell’Istruzione, «dei sistemi di incentivazione, delle premialità per gli insegnanti meritevoli». Intanto, per fermare l’esodo da una scuola ad un’altra, a viale Trastevere pensano di agire su «base geografica», dice il ministro Gelmini: «Nei prossimi anni cercheremo di cambiare alcune regole. A cominciare dall’avere almeno il sessanta per cento del corpo docente proveniente dal territorio in cui insegna». Un progetto che si lega a un’altra delle note dolenti suonate dallo studio, l’anzianità degli insegnanti. I docenti italiani infatti, sono in media più vecchi del resto degli occupati e in prevalenza donne. In particolare nelle regioni meridionali, in cattedra si trovano persone con età più avanzata, meno istruiti o con voti di laurea o di diploma inferiori a quelli dei loro colleghi del resto del Paese. E proprio i più anziani, di solito, fanno registrare il voto più basso, in base, ipotizza la ricerca, a un meccanismo di «selezione avversa» per cui a insegnare restano «i soggetti meno capaci».
Questo il male, ma la cura? «Sfruttare un’occasione storica. Entro il 2015, infatti, oltre il trenta per cento dei docenti italiani andrà in pensione.

Ciò significa», conclude il ministro, «un ricambio generazionale senza precedenti».

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