Politica

Bavaglio laico per i cattolici

Nel giugno del 2003, i Ds, il partito di Fassino, D'Alema, della Melandri e di Turci, emanò questa decisa direttiva in vista del referendum sull'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori: «Noi diamo una indicazione di astensione attiva, consapevole, forte. Non è un modo ipocrita di nascondere differenze di posizione interne, non è alchimia politica di bassa lega, non è un modo per non scegliere, per neutralità o equidistanza, o per confondere le idee. È un preciso modo di scegliere e di indicare una posizione. È proprio per questo che nei referendum abrogativi di leggi vigenti è richiesto il superamento del quorum. Per evitare che si decida sulla base della prevalenza di indicazioni di voto di una minoranza della popolazione. Per consentire di esprimere una precisa scelta, una volta non condiviso il referendum... L'astensione attiva è una espressione di voto, che evita il pronunciamento qualora si consideri inadeguato o sbagliato sia il voto positivo che quello negativo».
Lo stesso segretario Fassino andava ripetendo: «Se un referendum è sbagliato non possiamo che augurarci il suo insuccesso e far mancare il quorum». Dunque mi chiedo: perché oggi la stessa identica indicazione data dai movimenti cattolici e da vari laici, con l'approvazione dei vescovi, riguardo ai referendum sulla legge 40, è stata attaccata dai Ds, il 25 febbraio scorso, come «equivoca»? Perché è stata fulminata come cinica, perché tutto il vasto schieramento di giornali e potentati (che non ebbero nulla da ridire su quella scelta dei Ds) oggi tuonano che è immorale che quanti sono per la vita scelgano l'astensione attiva? Perché il costituzionalista diessino Augusto Barbera continua a ripetere che «non è lecito», quando era lecito ai Ds?
La risposta è semplice: in questa Repubblica tutti i cittadini sono uguali, ma alcuni sono più uguali degli altri. Ciò che è consentito al Partito Unico del «politically correct», che ha il monopolio quasi totale della stampa, è proibito agli altri (specialmente se cattolici).
Anche Pannella - come ha ricordato ieri il Giornale - nel 1985 invitò a «disertare le urne» contro «un referendum ricattatorio, donrodrighesco e sfascista». Ma se oggi sono i cattolici a disertare le urne egli tuona: «Scelta miseranda, vilmente simoniaca». Renato Farina ha ricordato anche l'«andate al mare» di Craxi per il referendum di Segni, segnalando che oggi Giuliano Amato, che fu il braccio destro di Bettino, parla di astensionismo come «delitto» contro la democrazia. Come se nella Costituzione fosse scritto che l'astensione è lecita solo quando è proposta dai Ds e dai radicali, ma è proibita a chi difende la vita. Così non siamo più patria del diritto, ma del rovescio.
Non entro nel merito dei prossimi referendum (che secondo me sono spaventosi), ma della democrazia, del pluralismo dell'informazione, della libertà di parola e di opinione. Perché oltre alla criminalizzazione dell'astensionismo (altrui), oltre alla plumbea uniformità della stampa, che va dal Sole 24 Ore al Manifesto fino alla tv, c'è pure l'idea che «gli altri», cioè quelli che difendono la legge 40, non abbiano diritto di parlare. Dacia Maraini sul Corriere della Sera è arrivata a scrivere: «Opporsi a che questa legge sia modificata credo sia il massimo della prepotenza».
Di conseguenza si pretende di imbavagliare, con diversi pretesti, chi si oppone. Parla il cardinale Ruini e subito viene sepolto sotto una caterva di proteste. Eugenio Scalfari non si limita a denunciare il suo intervento come una «palese e macroscopica invasione di campo» (chissà perché Scalfari può dire la sua e Camillo Ruini no). Il fondatore di Repubblica va oltre: «Se questa interferenza fosse sollevata dinanzi a un giudice e da questi rimessa al giudizio della Corte Costituzionale, penso che si farebbe cosa buona e giusta».
Scalfari arriva perfino a confessare la sua nostalgia per il Concordato del 1929, laddove Mussolini aveva «formulato il divieto a ogni sacerdote e organizzazione religiosa di occuparsi di politica». A Scalfari non viene il dubbio che impedire ai cittadini di occuparsi di politica sia appunto il connotato delle dittature. Oltretutto Repubblica ha sempre puntato il dito sulla Chiesa e sui papi perché, a suo dire, non protestarono abbastanza contro il fascismo e il nazismo: dunque da un lato si applaude il fascismo che mise il bavaglio alla Chiesa, dall'altro si rimprovera alla Chiesa di non aver protestato abbastanza - per esempio - per le leggi razziali del 1938. Non è surreale?
Del resto a costoro la Chiesa va benissimo quando - poniamo - protesta contro la guerra. In quel caso sì, può dire la sua su cose politiche, anzi deve farlo. Se invece difende la vita umana applaudendo la legge 40, allora no. Va imbavagliata. Ma non solo la Chiesa. Pure Marcello Pera e Pier Ferdinando Casini. I fulmini del Partito Unico sono piovuti anche su di loro: non possono parlare, si è detto, perché presiedono le Camere. E che c'entra? Oscar Luigi Scalfaro, dal Quirinale, pontificava su tutto con gli applausi della Sinistra. Carlo Azeglio Ciampi è intervenuto, nei giorni scorsi, addirittura sul referendum francese, per invitare gli elettori d'oltralpe a votare «sì» e nessuno ha avuto da ridire, nessuno ha gridato all'interferenza.
Ma Pera e Casini, no. Debbono tacere. Risulta che entrambi - come pure Camillo Ruini - siano cittadini italiani, risulta perfino che godano dei diritti politici e che ricevano a casa i certificati elettorali: ma su un tema di questo genere - su cui si esprimono legioni di comici e ballerine - loro non avrebbero diritto di parola perché stanno con Ruini. E non basta. L'ultima trovata dei referendari è quella di Marco Cappato contro i preti delle parrocchie italiane: «Cercansi cattolici laici per passare alle denunce».
In sostanza si fa fantasiosamente appello a una legge che prevederebbe fino a tre anni di carcere per imbavagliare i sacerdoti cattolici che parlano del referendum (o per intimidirli pesantemente). L'idea - che documenta benissimo lo squisito liberalismo e tolleranza dei radicali - è stata considerata dai giuristi assurda. O - come ha detto il ministro Giovanardi - «una boiata pazzesca».
Ma è stata rilanciata entusiasticamente dal quotidiano della Fiat, oggi accanitamente anticattolico come Bertinotti. La Stampa, invece di interrogarsi sul fallimento dell'industria dell'auto, da due giorni amplifica la campagna di Cappato che prospetta la galera per i preti e per chi può rientrare nella generica categoria di «pubblico ufficiale». Ieri il quotidiano torinese ha intervistato il ministro Giovanardi ponendogli questa domanda: «Lo sa che a forza di andare in televisione a far propaganda per l'astensione al referendum rischia fino a tre anni di galera?». Poi l'intervistatore ha ribadito che per «la legge», a suo dire, «i politici che incoraggiano gli elettori all'astensione sono punibili con la reclusione fino a tre anni» (e naturalmente nessuno sollevò il problema per gli astensionisti degli altri referendum).


Ovviamente questa storia è del tutto infondata, ma rivela l'istinto profondo dei referendari che hanno dalla loro la quasi totalità della stampa: imbavagliare chi ha un pensiero difforme e prospettare addirittura la galera per intimidire chi invita liberamente all'astensione. È una trovata molto sbrigativa, ma anche coerente con il contenuto dei referendum: perché mai devono riconoscere i diritti degli altri, quando possono spazzarli via imponendo le loro pretese?

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