Cronache

I sindaci del Belìce: "Lo Stato qui ha fallito"

Cinquant'anni fa il sisma che ha devastato il Belìce: alle commemorazioni, svolte a Partanna, presente il presidente Mattarella. Non sono mancate contestazioni e proteste

I sindaci del Belìce: "Lo Stato qui ha fallito"

Il Belìce e tutta la Sicilia ricordano i 50 anni dal terremoto che, nella notte tra il 14 ed 15 gennaio 1968, ha devastato una vasta porzione delle province di Trapani, Agrigento e Palermo. Luoghi interni, lontani dalle grandi strade battute nei secoli dalle tante civiltà che hanno dominato l'isola, pieni e ricchi di quel fascino della profonda provincia siciliana che, specie dopo quella devastante scossa, non hanno mancato di affascinare chi negli ultimi anni ha voluto visitare le pietre cadute simbolo di quella lunga nottata.

Il terremoto, ormai mezzo secolo fa, ha colpito nel cuore della notte, in una dinamica terribilmente vicina a quella degli ultimi grandi tremori del centro Italia: in pochi secondi, Gibellina, Montevago, Salaparuta, Poggioreale e tante altre comunità del Belìce, sono state rase al suolo ed a morire sono stati almeno 300 cittadini sorpresi nella notte.

“Oggi c’è il sole, 50 anni oggi pioveva e siamo rimasti nel fango”, commenta un anziano contadino all’ingresso di Partanna, comune colpito mezzo secolo fa e che, in questa domenica, ha accolto la visita del presidente Mattarella (Guarda il video).

Le cicatrici del sisma, nel territorio e nell'animo della sua gente, sono ancora ben presenti e lo si comprende dal clima che si respira tra le vie di Partanna durante le celebrazioni: non solo applausi e tricolori davanti l'istituto "Dante Alighieri", che ospita il presidente, ma anche alcuni fischi e striscioni polemici. C’è chi protesta contro le demolizioni della propria casa, come i membri del comitato "Sabbie d’Oro" di Triscina, c’è chi invece grida la propria ira contro i licenziamenti ed il precariato nel lavoro: sono questi certamente staccati dalle ragioni del terremoto e dei terremotati, ma che ben testimoniano le ferite ancora aperte in questo angolo di Sicilia e del senso di abbandono che, spesso, scuote l’animo di questa valle.

Nell’auditorium il presidente Mattarella ricorda le recenti vittime di Amatrice e delle Marche, così come la circostanza che vede il terremoto del Belice come prima scossa devastante del dopoguerra: alle sue spalle, scorrono i video e le immagini di quel gennaio 1968, tra gente che scava e soccorritori costretti a lavorare nel fango. Durante la cerimonia, al Dante Alighieri sul palco salgono anche alcuni testimoni dell'epoca, vengono ricordati i Vigili del Fuoco ed i Carabinieri morti in quei giorni, tocca invece a Musumeci ricordare i ritardi nella costruzione e le incompiute che, ancora oggi, non consentono di considerare conclusi i lavori avviati mezzo secolo fa.

A farsi portavoce dell'insofferenza del territorio, è stato il Sindaco di Partanna Nicola Catania: "Abbiamo richiesto fortemente la sua presenza - afferma il primo cittadino rivolgendosi a Mattarella - Oggi è un giorno di memoria e dolore, ma anche di speranza". Il primo cittadino, a nome degli altri sindaci della valle, ha chiesto maggiore attenzione da parte di uno Stato che, secondo chi amministra questo territorio, ha spesso considerato di Serie B i terremotati del Belice e, al momento, nulla sembra fare nel concreto per bloccare la fuga di giovani ed imprenditori. Il Belìce, tra speranze e scandali, tra malinconia e voglia di rialzarsi, ricorda il "suo" terremoto non diverso dagli altri che hanno colpito l'Italia ma, al tempo stesso, peculiare in alcuni dei suoi aspetti per la sua incidenza sul futuro di queste terre.

Le due piccole scosse, registrate la scorsa notte a poche ore dall'inizio delle celebrazioni, sembrano proprio voler ricordare a tutti che, da queste parti, il terremoto non ha ancora finito di far riecheggiare i suoi tanti e contraddittori effetti.

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