Roma

«Ben Hur» di Clementi è un severo monito contro gli opportunisti

Un fratello e una sorella non più giovani che condividono disagio e instabilità economica; un intruso venuto da lontano a scuotere equilibri già precari. È uno spaccato umano doloroso, crudo, molto attuale quello che Gianni Clementi disegna in Ben Hur, tragicommedia di solido impianto classico dove, miscelando abilmente ironia e dramma (come non evocare Eduardo?), si mette a nudo uno spietato «usa e getta» dell’altro, del diverso, del più debole. Senza eccessi di retorica, l’autore romano offre al pubblico della Sala Umberto una storia «vera». Una storia di Roma che diverte finché il nocciolo drammatico rimane celato e che poi assume la solennità di una tragedia classica, con tanto di sacrificio umano finale. Sono ovviamente i tre bravi interpreti, Nicola Pistoia (anche regista), Elisabetta De Vito e Paolo Triestino, a farsi carico di tali diverse sfumature. Sembra, anzi, che essi attraversino la scrittura e la lingua di Clementi, calibrate sulla cifra espressiva di ognuno di loro, con la naturalezza propria della vita reale, finendo col regalarci tre personaggi indimenticabili. Pistoia è Sergio, uno stuntman caduto in disgrazia che, ridottosi a fare il centurione per i turisti del Colosseo, possiede tutti i cliché del romano rozzo e opportunista; la De Vito dà corpo e voce alla sorella di questi, Maria, anima fragile e sofferente la quale, ferita nei sentimenti, orienterà la vicenda in senso tragico; Triestino, infine, disegna con estremo eclettismo la figura di Milan, un immigrato clandestino di origine bielorussa che si presta a fare da «schiavo» alla coppia e la aiuta a risollevarsi dalla miseria.

La sua storia, però, non ammette rivincite sul destino: nell’ultima, splendida scena della pièce, sarebbe bastato uno scampolo di pietas a salvarlo. E invece…

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