Controcultura

Benito Mussolini secondo Indro Il lungo viaggio di Montanelli attraverso il fascismo

Esce "Io e il Duce", antologia di articoli del grande giornalista sul capo del regime

Benito Mussolini secondo Indro Il lungo viaggio di Montanelli attraverso il fascismo

«Come tutte le persone nate dentro il fascismo (avevo dieci anni quando andò al potere), io fui fascista dapprima entusiasta, poi sempre meno, finché nel '37 cambiai campo, e durante l'occupazione tedesca finii in galera. Debbo dire però che, se mi trovai male col fascismo, non mi trovai meglio dopo la Liberazione, con l'antifascismo, che pretendeva liquidare il ventennio di Mussolini come un eccesso di follia criminale, di cui era indecente persino parlare». Questa lunga citazione può forse valere come chiave di lettura del libro che la contiene: Io e il Duce (Rizzoli, pagg. 350, euro 22) di Indro Montanelli. Il volume, curato da Mimmo Franzinelli, è una scelta di articoli dedicati nel dopoguerra al fascismo dal fondatore de il Giornale. Segue una selezione di Stanze, la famosa rubrica in cui Montanelli rispondeva ai lettori del Corriere della sera. Il primo articolo risale a settembre 1945. L'ultima Stanza è del 2001. L'ordine non è cronologico ma risponde alla scelta di costruire la biografia di Mussolini dalla quale traspare anche l'autobiografia di Indro Montanelli e forse la carta d'identità dell'Italia intera. Si comincia quindi dalla marcia su Roma e si finisce con piazzale Loreto.

Montanelli ci fa capire cosa significasse nascere «dentro» un regime come quello fascista che era riuscito a essere di destra serbando il ricordo del socialismo, a essere rivoluzionario nonostante fosse il garante dell'ordine anticomunista, a trasformarsi in dittatura ma disposta a tollerare, entro certi limiti, la fronda e il dissenso. Così Montanelli descrive l'ascesa di Benito Mussolini: «Da vero politico italiano, a lui interessava soltanto il potere. Arrivarci da destra o da sinistra, era per lui indifferente. Ed infatti c'era arrivato da tutte e due le parti, usando il manganello contro le piazze rosse per conquistare i ceti moderati di destra, vogliosi di ordine, ed inaugurando una politica assistenziale, autarchica e protezionista che gli conquistava i ceti popolari, smaniosi di sussidi». Per un giovane era naturale investire il proprio idealismo all'interno del fascismo. Tanto più che gli oppositori sembravano più che altro coloro che, per incapacità politica, avevano spianato la strada a Mussolini. Scrive Montanelli: «Mussolini apparve nella nostra vita quando i vent'anni ci mettevano a disposizione un grosso capitale di entusiasmi da investire. Era fatale che l'investissimo in lui. (...) Non perdoniamo di averceli carpiti e sperperati. Ma nemmeno perdoniamo a chi cerca di ridicolizzarli, ridicolizzando Mussolini».

Per Montanelli, il fascismo coincideva con Mussolini. Per questo sono molti i ritratti dedicate a lui: «Il fatto è che, quando parliamo di Mussolini, tutti noi che abbiamo vissuto sotto il suo segno rievochiamo quella specie di marionetta che da ultimo era diventato, corrotto da un ventennio di culto della personalità, imbalsamato nei suoi pennacchi, galloni e medaglie, e ormai senza più nessun contatto con la realtà. Ma il Mussolini del '22 non era questo. Qualità di capo rivoluzionario e di uomo di Stato, non ne possedeva nemmeno allora. Ma come fiuto politico, intuizione, tempismo, non c'era nessuno che gli stesse a paro». Oratore trascinante, spesso indeciso nonostante il petto all'infuori, si lasciava forzare la mano dagli eventi che egli stesso aveva messo in moto. Fu così per la marcia su Roma e il delitto Matteotti. Fu così per l'alleanza con Hitler e le sue conseguenze, tra cui ci sono le leggi razziali e una guerra tragica. Del regime, Montanelli coglie anche gli aspetti grotteschi, dal problema del clistere per il cavallo del Duce al giudizio rilasciato da Mussolini in visita al Partenone: «Bello. Ma piccolino». Aneddoti a parte, Montanelli demolisce molti miti storiografici. Un esempio. A far cadere Mussolini non furono gli antifascisti, come vuole la vulgata, ma i fascisti più responsabili: «Non è vero che al fascismo seguì l'antifascismo. È vero solo che a Mussolini seguì Badoglio». Ancora più chiaro e ironico: «L'antifascismo (...) non ha mai saputo consolarsi del fatto di aver dovuto aspettare, per liberare l'Italia dal fascismo, che il fascismo si suicidasse». Molte pagine, di conseguenza, sono dedicate alla seduta del Gran Consiglio che il 25 luglio 1943 «depose» Mussolini.

Dalla biografia di Mussolini, esce di riflesso anche l'autobiografia di Montanelli. Non entriamo neppure nelle dispute tra storici sulla discussa evasione dal carcere di San Vittore, dove era stato imprigionato in quanto antifascista, e sulla successiva fuga in Svizzera (1944-1945). Dopo l'iniziale entusiasmo, Montanelli matura il distacco dal regime che si manifesta, in particolare, nel 1937 dopo le corrispondenze antieroiche sulla guerra di Spagna, che gli costarono un esilio dorato a Tallinn, in Estonia. Il giornalista, però, non entrerà mai nella schiera dell'antifascismo militante. Nel dopoguerra si troverà dunque a essere troppo «fascista» per alcuni e troppo antifascista per altri.

Io e il Duce è una selezione, e come ogni selezione è parziale. Il grosso proviene dal Corriere della sera. Un solo articolo proviene dall'archivio del nostro Giornale, nessuno dal Borghese. Eppure proprio sul secondo, tribuna degli anti-antifascisti, Montanelli contribuì a divulgare l'immagine, sarcastica ma non troppo, provocatoria ma non troppo, del «Mussolini buonuomo». Quando scoppiò il caso del «revisionista» Renzo De Felice, il Giornale, che aveva lo storico come collaboratore, si trovò in prima linea. Montanelli non si tirò indietro nel difendere l'autore della biografia di Mussolini, «scandalosa» perché dimostrava quanto fosse stato ampio il consenso al regime. Ecco parte della risposta a un lettore del Giornale che metteva in dubbio il lavoro di De Felice sul Duce: «De Felice ha dato e negato a Mussolini e al fascismo tutto ciò che riteneva fosse giusto concedere e togliere. Così facendo, non demonizzò Mussolini in tempi nei quali per i carrieristi era d'obbligo farlo».

Il fascismo di Montanelli aveva un' identità precisa, che affiora in Io e il Duce. Il giovane Indro collaborava con L'Universale di Berto Ricci e apparteneva dunque all'ala più idealista e intransigente del regime. A questo proposito, sarebbe interessante recuperare i primi romanzi di Montanelli, quasi tutti introvabili. Primo tempo (Panorama, 1936), che pure fu interpretato come segno di insofferenza verso il regime, aveva un'introduzione dell'autore che sembra una lettera d'amore: «L'adesione incondizionata di tutta la nostra gioventù a Mussolini non è ossessione - come spesso si pensa oltralpe e oltreoceano - se bene la figura di Mussolini sia di tale grandezza da giustificare anche l'ossessione; ma è coscienza chiara della Rivoluzione che in Lui si identifica. Coscienza che si forma: che si forma attraverso prove, talvolta attraverso sbandamenti e inabissamenti; ma sempre tesa verso un ideale che nella storia della società umana non trova riscontri». Segue dedica a Berto Ricci.

Al netto delle mancanze segnalate, che valgono come pro memoria per libri e ristampe a venire, Io e il Duce resta interessante e importante per capire cosa fosse il fascismo e cosa significasse Mussolini per le generazioni che sono cresciute dentro il Regime. Oggi in Italia la polemica politica spesso riconduce al fascismo e all'antifascismo.

Questo libro mostra quanto sia strumentale tirare fuori, senza alcun riguardo per la storia, il fantasma del Duce e del regime.

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