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Berlino-Messico Quel limite che non ha crisi

Trent'anni fa cadeva in Germania, oggi resiste in Corea. E Trump lo rilancia

Berlino-Messico Quel limite  che non ha crisi

Il più famoso, quello di Berlino, è stato ricordato, quasi celebrato, in novembre. È caduto 30 anni fa, ma senza mai sparire del tutto: sopravvive nelle teste di generazioni di tedeschi per cui il passato continua a segnare un limite esistenziale invalicabile. Altri, come il muro tra le due Coree, resistono da decenni incuranti del tempo. Altri ancora sono di costruzione più recente: a Ceuta e Mellilla due serpenti paralleli di piastre d'acciaio, lame acuminate e filo spinato, punteggiati di torri d'avvistamento e telecamere, separano il territorio spagnolo dal Marocco. La barriera è stata completata all'inizio degli anni 2000 ed è l'unica frontiera terrestre tra Europa e Africa. Donald Trump vuole fare qualche cosa di analogo al confine con il Messico, gli israeliani ci hanno già pensato per limitare l'accesso al Paese dalla Cisgiordiania.

I muri non conoscono crisi. E per il solo fatto di esserci portano con sé una sfida simbolica, quella all'idea stessa di contemporaneità, che è fatta di confini sempre più incerti e mobili. Un filosofo scomparso da poco, Remo Bodei, al tema ha dedicato un libro, Limite: «la modernità occidentale è stata intesa come una consapevole violazione dei termini prefissati, che avrebbe trasformato l'uomo in un superbo e libero creatore del proprio destino».

Nell'antichità latina Giove Termine proteggeva i confini dei poderi e le pietre che segnavano la proprietà privata. Violarli era un delitto punito dalla legge, ma soprattutto un crimine contro la divinità. In epoca di globalizzazione perfino le frontiere tra Stati hanno all'apparenza perso significato. Gli accordi di Pace del «Venerdì Santo» che hanno messo fine alla guerriglia in Irlanda del Nord si basano su un concetto di confine quasi impalpabile. Cardine dell'intesa è che l'Ulster rimanga nel Regno Unito. Ma gli abitanti hanno il diritto di «identificarsi e di essere trattati come irlandesi o britannici o entrambe le cose», il diritto di scegliere liberamente il passaporto di uno dei due Paesi e di non essere ostacolati da alcuna frontiera fisica.

Una specie di «sesto grado» giuridico e culturale, che però la Brexit ha già messo in pericolo. Perché i confini, non c'è modernità che tenga, restano terreno delicato.

E i muri sono lì a ricordarcelo.

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