Cultura e Spettacoli

LA BIENNALE DI ARCHITETTURA

A Venezia la rassegna curata da Richard Burnett

da Venezia
Città del Messico potrebbe contenere Venezia 542 volte, San Paolo del Brasile 805 e Milano 165, ma è da Venezia, città unica e irripetibile, che parte il viaggio attraverso 16 grandi zone metropolitane nei quattro continenti: Barcellona, Berlino, Il Cairo, Caracas, Città del Messico, Istanbul, Johannesburg, Londra, Los Angeles, Milano-Torino, Mumbai, New York, Bogotá, San Paolo, Shanghai, Tokyo. Negli affascinanti 340 metri delle Corderie dell’Arsenale è raccontata, in mille diverse coniugazioni, la vita di più del 50 per cento della popolazione mondiale. Si calcola che negli ultimi cento anni la porzione di mondo che abita le città sia passata dal 10 al 50 per cento e che nel 2050 circa il 75 per cento degli abitanti del pianeta vivrà in zone urbane. Partendo da queste premesse la Biennale di Architettura inaugura domani «Città. Architettura e società», curata da Richard Burdett.
Una mostra che tocca tutti da vicino, noi facenti parte di quel 50 per cento: un percorso che fa riflettere sui destini del mondo e sulla vita quotidiana al tempo stesso. Le 16 grandi conglomerazioni sono raccontate in modo semplice ed efficace, grazie anche all'allestimento lineare e accogliente di Aldo Cibic&Partners. Grandi foto, video, numeri, è una visione d’insieme, macro e micro al tempo stesso. «Credo nella democrazia e nella bellezza - dichiara Burdett - e anche nella forma della città e nell’orgoglio di chi ci abita. Abbiamo voluto una mostra di ricerca in cui le diverse formule di uno sviluppo possibile offrissero un quadro comparativo sulle diverse realtà, un approccio critico che esorti progettisti, architetti e cittadini a dialogare sulla forma della città del futuro, studiando lo spazio e quel che succede alla gente che lo abita». Nel viaggio si incontrano le megalopoli nei loro aspetti più diversi, dallo studio della mobilità ai piccoli esempi di architettura che possono realmente cambiare la vita dei cittadini. Si vede come i 35 milioni di abitanti di Tokyo vadano al lavoro utilizzando all’80 per cento mezzi pubblici, mentre a Los Angeles l’80 per cento si sposta con mezzi propri; a Caracas la palestra nel barrio ha contribuito a ridurre la criminalità, permettendo un miglior tipo di agglomerazione, a Bogotà un contributo a maggior eguaglianza sociale è stato dato dalle lunghe e democratiche piste ciclabili.
Il tutto è raccontato con immagini suggestive, video e suoni che portano il visitatore all’interno del mercato del Cairo o nella travolgente densità di Mumbai. E ancora, 24 ore di queste megalopoli sono riassunte in video di un minuto, affascinanti e rapidissimi: la vita della città dall’alba al tramonto. Un’altra sala di grande impatto visivo è dedicata alla densità delle città, sembrano sculture o montagne stilizzate, e sono invece la rappresentazione tangibile di quanti abitanti occupano la verticalissima Shanghai o le più omogenee Milano e Torino.
Completano questo totale affresco tre contributi: nel Padiglione Italiano, che anticipa di un anno l’apertura, il Ministero per i beni e le attività culturali con la Darc-Direzione generale per l’architettura e l’arte contemporanee presentano, sempre all'Arsenale, la mostra «La Città Nuova. Italia-y- 2026. Invito a Vema», curata da Franco Purini. Vema è una città nuova e ideale che si troverebbe tra Verona e Mantova, proponendo, secondo Purini, di riprendere il controllo della città da parte di chi la abita, cittadini avvezzi a coniugare diversi modi di abitare in un’estensione eco-compatibile. Le sezioni collaterali nell’ambito del progetto «Sensi Contemporanei» comprendono la mostra di Claudio d’Amato Guerrieri «Città di Pietra» focalizzata sui caratteri dell’architettura muraria mediterranea e su una serie di progetti per Bari, Crotone, Siracusa, Pantelleria, alle Artiglierie dell’Arsenale, e la mostra di Rinio Bruttomesso «Città-Porto» che si inaugurerà a Palermo il 15 ottobre ma che viene presentata a Venezia su un rimorchiatore attraccato nelle acque dell’Arsenale.
Nella sede dei Giardini il percorso continua nel Padiglione Italia, dove 13 istituti di ricerca internazionale da Italia, Messico, India, Germania, Gran Bretagna, Olanda, Svizzera e Stati Uniti espongono progetti ed idee sulle città, rispecchiando l’attuale nuovo connubio tra la professione dell’architetto e i processi economici e sociali: il Berlage Institute di Rotterdam, ad esempio, presenta modi diversi di leggere e di intervenire nei contesti urbani; mentre il The Royal College of Art di Londra presenta il progetto «Babylon:don», analisi attenta e dissacrante della città. Anche i padiglioni nazionali hanno aderito con energia al tema, sia pure con approcci diversi. La Francia ha letteralmente occupato il proprio padiglione con «Metavilla», cantiere aperto in cui un collettivo di architetti capitanati da Patrick Bouchain e Daniel Buren abitano, cucinando, dormendo e tenendo tavole aperte per mangiare, bere e condividere con i visitatori l’atmosfera di un cantiere. Il Giappone ci offre invece un percorso tradizionale e innovativo facendo convivere tatami e fantasia in «Architettura e città giapponesi sconosciute, architettura surrealista e città dell’inconscio».
Il tema del cantiere ritorna, sia pur in modo diverso al Padiglione Venezia curato per la Darc da Margherita Guccione con il contributo di Italo Rota. Il racconto della costruzione del museo MAXXI a Roma e del relativo cantiere vengono scomposti e ricomposti per diventare luogo di inizio del fare l’architettura e paradigma universale di linguaggio. Il 6 settembre, sottolineando la volontà della Biennale che questa sia una mostra propositiva, si è tenuto il convegno «Dar forma alla città futura» coordinato da Guido Martinotti con la partecipazione di sindaci, politici, urbanisti e operatori. Il dibattito non ha prodotto una soluzione unica, ma contributi ed esperienze variegati che potrebbero indirizzare le scelte al meglio. Norman Foster, «archistar» per antonomasia ha presentato «Milano Santa Giulia», progetto del gruppo immobiliare Risanamento, partner della Biennale, all’interno della mostra «Le città nella città. Costruire oggi la Milano del futuro» al Padiglione Milano creato per l’occasione alle Corderie. «Per questo grande progetto, che si estenderà su un milione e 200mila metri quadrati nella zona sud est della città, abbiamo cercato di aggiungere a Milano quello che non c’è: più verde e una minor concentrazione di auto - dice Foster - il risultato saranno infrastrutture migliori, e questo si inserisce nella riflessione generale di ripensamento sulla costruzione di nuove città».
Mentre al Lido la Biennale del Cinema riflette in vari film sulla fine del mondo, la Biennale di Architettura di Richard Burdett offre una visione più ottimista e proiettata verso un futuro possibile. Cosa ne pensa Burdett? «Le città sono sempre state centri di grande innovazione e di cultura. La maggior parte del progredire di arte, letteratura ma anche tecnologia avanzata e scienza è avvenuta nelle città, la densità è importante, le università sono nelle città, ad esempio. Per questo sono ottimista sul futuro delle città; nella gestione e nel ripensare la città, da Johannesburg a Torino, siamo concentrati su come cambiare e migliorare la qualità della vita, non mi pare poco». La scritta che chiude la mostra di Burdett recita «buon governo». «È essenziale: - conclude il direttore - pensiamo allo spazio pubblico. È necessariamente uno spazio di tolleranza.

Come ci potrebbe essere senza un buon governo?».

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