Cultura e Spettacoli

Boccioni, lo sfortunato precursore

Un’analisi degli anni giovanili dell’artista precocemente scomparso nel 1916 Tensione e dinamismo già nelle prime opere

Non era una famiglia felice, quella di Boccioni. Il padre Raffaele, usciere di prefettura, e la madre Cecilia non andavano d’accordo e la loro convivenza non creava che litigi e infelicità. A quei tempi, erano gli ultimi anni dell’Ottocento, una separazione dava ancora scandalo. Per alcuni c’era però, a portata di mano, una soluzione diplomatica: andarsene di casa con la scusa del lavoro che, quando si era alle dipendenze dello Stato, prevedeva continui spostamenti da un capo all’altro della penisola. Così, quando nel 1897 Raffaele fu trasferito a Catania, sembrò a tutti una via d’uscita. Cecilia, con la figlia maggiore Amelia, sarebbe rimasta a Padova (dove la famiglia viveva ormai da dieci anni), mantenendosi con la sua attività di ricamatrice. Lui invece sarebbe partito col figlio Umberto.
Boccioni nella città del Santo aveva frequentato, per la verità senza grandi risultati, le classi elementari e le prime tecniche. I suoi anni padovani, però, a cui ora è dedicata un’ottima mostra, costruita con una ricerca capillare da Virginia Baradel, che ha approfondito intelligentemente questo segmento della vita dell’artista («Boccioni prefuturista», Padova, Galleria Cavour, fino al 27 gennaio, catalogo Electa); gli anni padovani, dunque, non sono per Boccioni solo quelli dell’infanzia e dell’adolescenza. L’artista torna spesso nella città veneta per rivedere la madre e, anzi, tra il 1901 e il 1907 vi rientra ogni anno.
Il grande futurista era legato morbosamente a Cecilia, che dipinge tante volte. Quando parte volontario per il fronte la sua maggior preoccupazione è per lei, per il dolore che le avrebbe dato se fosse morto. Non si sbagliava: alla sua improvvisa scomparsa, il 16 agosto 1916 per una caduta da cavallo durante un’esercitazione a Verona, Cecilia sarà colpita da un ictus che la renderà completamente muta. Sopravviverà ancora undici anni, spegnendosi nel 1927 senza aver ripreso l’uso della parola.
Ma torniamo alla mostra. Negli anni padovani Boccioni non è ancora futurista, ma è già Boccioni. La tensione della sua pittura successiva si intravede già nei ritratti di questo periodo, dipinti in modi divisionisti, ma carichi di un’irrequietezza interiore che fatica a rimaner chiusa nel perimetro della tela, mentre la figura occupa energicamente, volitivamente, lo spazio.
Del resto anche i temi più statici nelle opere di Boccioni si trasformano in temi dinamici. E non solo, com’è ovvio, nel periodo futurista. Anche negli anni padovani, in cui il futurismo è di là da venire, il vero soggetto delle immagini è il movimento: un movimento interiore che tramuta i volti tranquilli dello scrittore Virgilio Brocchi, del dottor Achille Tian, dello scultore Valerio Brocchi, del cavalier Tramello, del dottor Gopcevich, in indagini esistenziali. Perché la vita non è mai una cosa tranquilla.
LA MOSTRA
«Boccioni prefuturista. Gli anni di Padova», Padova, Galleria Cavour, fino al 27 gennaio. Orario: 10-18, lunedì chiuso.
Info: http://padovacultura.

padovanet.it

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