Stile

Boer, l'artigiano dei sapori che sogna con le mani

Fra le specialità i macaron con fave di cacao e fegato di piccione, poi il cervo senza posate

Dominique AntognoniRicordi e visioni, piatti ricchi e potenti, colori pieni e cotture perfette, sogni, passione e idee: benvenuti nel mondo di Eugenio Jacques Christiaan Boer, artigiano dei sapori cresciuto con la guida Michelin accanto, visto che il padre aveva una passione folle per i ristoranti stellati. Un predestinato, insomma: se due indizi fanno una prova, aggiungiamo che ha iniziato a sognare con le mani a 12 anni, quando andava ad aiutare nel ristorante degli amici di famiglia. Madre ligure e papà olandese, lo chef 37enne ha una visione molto colta della cucina, lo si capisce appena assaggi l'amuse bouche: poi, man mano che ti porta nel suo mondo eccitante e intenso, elegante e sofisticato, ti senti come sulle montagne russe, una corsa travolgente fra sensazioni, contrasti e sapori forti, ampi, avvolgenti.Prima di lasciarlo raccontare la propria vita, piccolo e breve elenco delle diavolerie che potete (e dovete assolutamente) assaggiare al ristorante Essenza, in via Marghera, luogo raccolto e intimo, romantico e minimal: macaron con fave di cacao e fegato di piccione, poi carote di Polignano, uovo, fonduta di fontina, terre di erbe e cereali, infine, risotto alle ceneri, salmerino di montagna e le sue uova, un piatto misterioso, che tocca l'anima e sa di magia, impedendo la conversazione: solo a guardarlo ti senti invaso dal desiderio.Come possiamo caratterizzare la sua cucina?«È narrativa, fatta di ricordi, neoclassica».Ha avuto dei maestri, si ispira alla filosofia culinaria di qualcuno?«Norbert Niederkofler e Gaetano Trovato, perché hanno influito sui miei inizi, poi Gualtiero Marchesi: la sua cialda di zafferano e spuma di parmigiano 18 mesi mi ha folgorato».Tre piatti che sono entrati «nella storia della sua storia».«Ne ho fatti più di 120 da quando abbiamo aperto qui, un anno addietro. Scegliere è quasi impossibile, però ci provo: il riso al salmerino, poi il piccione e il cervo. Quest'ultimo è stato un azzardo, perché ho cercato di andare il più indietro possibile con il pensiero, nell'epoca primitiva, quando non esistevano le cotture e le posate: è un ricordo primordiale. Si mangia con le mani, non immaginavo potesse avere un tale successo, difatti non lo tolgo mai dalla carta, è richiestissimo. Il piccione è un omaggio alla cucina classica, francese, fondamentale. È anche un ringraziamento a Gaetano Trovato».Come scegliete i vini e le bollicine?«Se ne occupa Damian Janczara, il nostro sommelier: cerchiamo principalmente dei piccoli produttori, delle chicche. Ad esempio, con il cervo crudo suggeriamo uno champagne poco conosciuto, il Pinot Noir di Guy de Forez, fra l'altro creato dietro il suggerimento di una ragazza italiana, Valentina Vignali. La lista dei vini cambia in continuazione, come il menu: è un'evoluzione costante».Si avvicina San Valentino: visto che il vostro ristorante pare ideale per una cena romantica, a lume di candela, proporrete qualcosa di intrigante e sensuale?«Il menu è una sorpresa, posso rivelare solo il dolce, Heisse Liebe, ovvero Caldo Amore, a base di lamponi, cioccolato, panna e vaniglia».

Ha uno slogan, un moto, una frase che lo accompagna mentre inventa e cucina?«La tradizione è la rivoluzione».

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