Cronache

Boicottati i test Invalsi Studenti e professori? Partigiani contro la destra

E' la prova che la scuola è l’ambiente più conservatore. Ma anche più partigiano: la contestazione esplode quando ad applicare la riforma è la destra, anche se a pianificarla è la sinistra

Boicottati i test Invalsi 
Studenti e professori? 
Partigiani contro la destra

Intanto cominciamo a capire di che si tratta: cos'è mai l'Invalsi? Ecco qua: «Istituto nazionale per la valutazione del sistema educativo di istruzione e di formazione». L'Invalsi ha prodotto dei test che servono a misurare la preparazione degli studenti in italiano e matematica. Chi deve farli? Gli alunni di seconda e quinta elementare, della prima media e, da quest'anno, quelli del secondo anno delle superiori. Dal 2010 il test è previsto anche per la maturità, e dovrebbe incidere sull'ingresso nelle facoltà a numero chiuso. La qualità del giudizio dovrebbe essere garantita dal fatto che a correggere i test non sono gli stessi insegnanti degli studenti. Insomma, si tratta di un tentativo per uniformare il giudizio sugli studenti di tutta Italia: perché potrebbe accadere (niente di più probabile) che un 8 in una scuola calabrese corrisponda a un 6 in una trentina. O viceversa.

In questi giorni, secondo i Cobas, il 20 per cento (molto meno secondo il ministero) delle scuole ha rifiutato di far compilare i test. Anche dove si è svolta la prova, intere classi hanno consegnato in bianco i moduli.
Ora, è certo che quei test, come tutto, sono discutibili e migliorabili. Per esempio Luca Ricolfi, in un articolo sulla Stampa, ha mosso quattro obiezioni: 1) I test potrebbero essere utilizzati per regolare carriera e stipendio dei singoli insegnanti. 2) In certe scuole, specialmente del sud, gli insegnanti tendono a dare un aiutino agli allievi, anche durante i test. 3) È dubbia la concentrazione di studenti e insegnanti nei test. 4) Verrebbe privilegiata la velocità nella risposta rispetto alla capacità di ragionamento.
Altri hanno obiettato che il «Questionario studente» invade la privacy, chiedendo - per esempio - con quanti genitori si vive. Altri ancora parlano di una spesa eccessiva (3 milioni di euro), e altri ancora sostengono che si è investito troppo poco.
Dino Cristanini, direttore dell'Invalsi, ha scritto ieri, sempre sulla Stampa, una lettera per sostenere la necessità di uno strumento di verifica standardizzato che allinea l'Italia «alle esperienze internazionali più avanzate» e che ha come scopo «l'innalzamento dei livelli di istruzione scolastica e quindi della qualità della vita di tutti».

Infine, il metodo dei test non ha, come si è spesso sentito dire, «intenti punitivi nei confronti del personale della scuola».
A Cristanini fa eco Andrea Gavosto, presidente della Fondazione Agnelli, per cui le obiezioni di Ricolfi «non sono condivisibili», perché «serve un sistema nazionale di valutazione sui punti di forza o di debolezza delle singole scuole; inoltre, «le prove standardizzate dell'Invalsi sono uno strumento indispensabile a questo scopo». Per Gavosto, l'unica obiezione attendibile è quella sugli insegnanti che potrebbero dare un «aiutino», ma «la severità con cui vengono date le multe è diversa da Torino a Roma: non per questo dobbiamo abolire i vigili urbani in tutto il Paese, semmai allineare gli standard». In conclusione, le prove Invalsi non sarebbero perfette, ma quanto di meglio abbiamo oggi a disposizione per ottenere «una fotografia nitida, nel bene e nel male, della scuola. (...) Preferiamo forse tornare alle fotografie precedenti, quelle basate su voti e scrutini non confrontabili, per cui la Campania sforna il doppio dei 100 e lode alla maturità della Lombardia?».

A Cristanini e Gavosto risponde ancora Ricolfi, sostenendo di avere sempre difeso la necessità dei test, ma mantenendo le sue obiezioni e aggiungendo che in Italia «si pretende di fare come negli altri paesi, ma investendo risorse infinitamente più modeste: il classico matrimonio coi fichi secchi».
A questo punto spero di avere superato il mio personale test giornalistico: riassumere in modo chiaro tutte le posizioni di una questione complessa.
Ora, dai fatti posso passare alle opinioni. Mie, anche se - non avendo sostenuto i test - non posso appoggiare nessuno dei diversi punti di vista. Però:
- 1) Ho esperienza di test americani, dove conta la velocità, più che la qualità delle risposte, con esiti disastrosi. Infatti il ministro Gelmini ha aumentato il tempo a disposizione. Forse non ancora abbastanza. La velocità non è sempre sinonimo di qualità nella preparazione.
- 2) A preparare i test dovrebbero essere professionisti della scuola ma anche sociologi, psicologi, antropologi: i quali dovrebbero essere informati, seppur sinteticamente, sulle condizioni non solo scolastiche ma anche personali degli studenti. Assurda dunque l'obiezione - fatta da alcuni - sulla violazione della privacy di domande come «con quanti genitori vivete» e «qual è il vostro Paese di origine».
- 3) Dovrebbero essere sottoposti a test periodici anche gli insegnanti.
- 4) Nell'ambiente della scuola - forse più che in tutti gli ambienti italiani - c'è sempre una fortissima resistenza ai cambiamenti, alle novità, a tutto ciò che vuole trasformare posizioni acquisite, per quanto sorpassate dai tempi.
- 5) Le rivolte di studenti e professori avvengono soprattutto quando le riforme partono, o vengono applicate, dai governi di centrodestra. E sospetto che non sia un caso. L'Invalsi è stato voluto nel 1999 dall'allora ministro della Pubblica istruzione Luigi Berlinguer. Non si tratta dunque di una faccenda «di destra»: l'Istituto ha la responsabilità dei test dal 2007, la sperimentazione è iniziata nel 2008 e i dolori seri sono cominciati quest'anno, perché ad applicarli ampiamente è il ministro Gelmini.
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