Politica

Bologna sfregiata per far spazio ai bus "rossi"

Oltre cinque anni di lavori per adattare le vie del centro storico ai 49 bestioni lunghi 18 metrig. I ricchi appalti per i cantieri che paralizzano la città vinti da una società del mondo delle cooperative

nostro inviato a Bologna

Via San Vitale, là oltre l’arco che dal 1250 resiste ad amministra­tori bolognesi di ogni colore politi­co e di diverso acume, è un budello scaravoltato che stringe il cuore. Non ci sono nemmeno le passerel­­le per collegare i marciapiedi. O sei di qua, o di là. Cavoli tuoi, se devi attraversare. Almeno fino al 12 set­tembre. Così l’imperativo ora è divellere, bucare e riasfaltare, in lotta contro il tempo. Qui, come in altre strade medioevali, perfino nell’ultracen­tenaria Strada Maggiore, passeran­no i 49 trolley bus gommati di una follia sborona e sprecona, battez­zata Civis. Saranno infatti quelle vetture (anzi lo sono, dato che le hanno già comprate nonostante fossero ob­solete e fuori produzione), dei lom­briconi articolati che faranno il pe­lo ai monumenti seguendo con una guida ottica un tratteggio bian­co dipinto sull’asfalto. Come Polli­cino con le briciole. Lunghi 18,4 metri, larghi 2,55 e alti 3,4 per 30mi­la chili di peso a vuoto ciascuno, sono stati pagati complessivamen­te 62milioni, il doppio dei normali filobus. Ora sono sui piazzali, espo­sti al sole, alla pioggia e ai malinten­zionati. Così, en attendant Godot . Ovvero fine lavori. È un incubo, dove i cantieri sono operativi. Strade dalla larghezza di­mezzata (e tale resterà anche do­po, per far scorrere il Civis), traffi­co a passo d’uomo, posti parcheg­gio cancellati. Ma a soffrirne è so­prattutto chi sul passaggio della gente ci vive. «Incassiamo la metà rispetto a prima», allarga le brac­cia Fabrizio Carella, la cui edicola in porta San Vitale è avvolta da un sudario di teli contro la polvere. Bussi ad altre vetrine, ed è un coro di voci. Identiche. Ed è incubo, ma a venire, per chi si guadagna da vi­vere là dove le ruspe devono anco­ra iniziare: in via Mazzini, in via Bassi, o ancora sulla Emilia Levan­te. «I mille giorni previsti a partire dal via ai lavori sono scaduti. E con­siderato che a oggi è stato comple­tato sì e no il 35% del tutto, ne avre­mo ancora per altre due estati », cal­cola Irene Ricci, presidente del Co­mitato No al Civis- Mazzini e Save­na. E i bolognesi? «Tutti sanno, an­che se nella maggioranza dei can­tieri mancano i cartelli che spiega­no trattarsi proprio dei lavori del Civis. I più, comunque, mugugna­no scontenti, anche semolti non hanno il coraggio di dirlo a voce al­ta per non sconfessare coloro ai quali hanno dato per anni fiducia e voti», ironizza l’ingegner France­sco Picchi, convinto paladino del­la battaglia, che sidice «in attesa di un evento storico, assolutamente certo: la fragorosa caduta del mu­ro di Bologna, 21 anni dopo quello di Berlino». Intanto si divelle, si buca, si ria­sfalta. Soprattutto perché a lavora­re e a incassare sono sempre loro, le coop (in questo caso la Ccc, Con­sorzio cooperative costruzioni), si­gnore incontrastate di ( e su) chiun­que governi a palazzo d’Accursio, sede del Comune. Tanto per fare un po’ di storia, l’idea del Civis era nata come nor­male tramvia ai tempi della giunta di Walter Vitali,ex Pci,pioniere del­­l’Ulivo, sindaco nel ’93. Ma nel ’99, pur di non perdere i finanziamenti dello Stato (al cambio con l’euro fa­cevano 120 milioni, sui 180 di co­sto previsto), il progetto era stato fatto suo dal successore Giorgio Guazzaloca, del centrodestra. Do­po di lui - perché c’è chi traccia il solco e chi lo difende - il Civis era stato confermato, a costo di accor­ciarlo di 7 chilometri per superare la verifica di impatto ambientale, dal compagno Sergio Cofferati, eletto nel 2004. «Se si pensa che du­rante la gestione Guazzaloca il Ci­vis faceva dichiaratamente schifo a tutto il centrosinistra, Cofferati ha di fatto preso per i fondelli ibolo­gnesi », commenta l’architetto De­lisa Merli, che con il collega Pierlui­gi Cervellati (un’autorità nel recu­pero dei centri storici) si batte per riuscire almeno a far deviare il Ci­vis dalle radianti medioevali. Da ultimo, la difesa del «lombri­cone » era stata confermata anche da Flavio il Breve,all’anagrafe Del­bono. Ultimo sindaco bolognese conosciuto, di sinistra pure lui, ma «scivolato» come si ricorderà, ad appena nove mesi dal mandato, sulle ricevute dei bancomat lascia­te dietro si sé dalla sua prodiga ex segretaria e compagna Cinzia Cracchi. Così ora il cerino acceso del Ci­vis, in attesa delle comunali del 2011, è nelle mani del commissa­rio governativo Anna Maria Can­cellieri, ottimo funzionario dello Stato che non potrà per forza di co­se che mantenere lo status quo an­te fino a nuovo sindaco insediato. Sulla scadenza elettorale si ad­densa però una nuova «minac­cia ». L’autocandidatura dell’ex Pdup, ex Pds, ex presidente Arci­gay ed ex Sinistra democratica Franco Grillini, che per non rima­nere un ex e basta è balzato all’ulti­mo sul carro dell’Idv di Antonio Di Pietro, conquistando un seggio alla Regione. «Se eletto sindaco ­ha promesso - cancellerò il Civis». Ignorando che era stato proprio il suo attuale leader di partito, nel 2006, da ministro dei Lavori pub­blici, a scongelare il finanziamen­to per questa tramvia che tramvia non è. Nell’attesa- divelta, bucata e ria­sfaltata - Bologna non può ignora­re di vedersi così com’è. Non più «la Grassa», ma piuttosto «la Spor­ca », a giudicare da certi vicoli del centro come via dei Bibiena o via del Carro, ridotte a irrespirabili toi­lette a cielo aperto dai senzatetto allo sbando, i figli del dossettismo e delle braccia comunque spalan­cate. O anche «l’Insicura», visto che di notte si fa lo slalom tra spac­ciatori e tossici. Quanto alla «Cao­tica », grazie ai cantieri del Civis lo è già. Nell’attesa, a lavori finiti, di diventare Bologna «la Immobile». «Siamo tutti morti e non ce ne siamo neanche accorti», sintetiz­za amara l’architetto Merli citan­do le parole di Claudio Lolli, can­tautore bolognese degli anni Set­tanta. E sulle future comunali lei, con un passato di sinistra e uno più recente di non voto, confessa di avere una certezza.

Che assomi­glia tanto a quella speranza che a Bologna, sottovoce, oggi sembra­no nutrire in molti:«L’unico in gra­do di ridarle vita, sarebbe un sin­daco leghista - dice convinta - sì, a Bologna ci vorrebbe un Flavio To­si, come a Verona».  

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