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Bomba contro caserma, il kamikaze è in coma rimandato l'interrogatorio

Fermati anche un libico e un egiziano. Il Viminale: "Verificare se la cellula fosse legata a organizzazioni internazionali". E spunta una foto: prese parte ai disordini contro la Santanchè

Bomba contro caserma, 
il kamikaze è in coma 
rimandato l'interrogatorio

Milano - Coma farmacologico. E' questa la condizione di Mohammed Game, il 35enne libico che lunedì scorso si è fatto esplodere davanti alla caserma Santa Barbara a Milano, ora ricioverato all'ospedale Fatebenefratelli. E' stato rimandato, quindi, l'interrogatorio del gip di Milano, Franco Cantù Rajnoldi.

Non era solo Il lupo solitario non agiva da solo. Sono stati fermati nella notte tra lunedì e martedì a Milano un libico e un egiziano ritenuti complici di Mohamed Game, l'attentatore che ieri ha fatto esplodere un ordigno all'ingresso della caserma Santa Barbara. Durante le perquisizioni effettuate dalla Digos è stata sequestrata un'ingente quantità di nitrato d'ammonio: 40 kg di feritilizzante, utilizzato per confezionare ordigni esplosivi. Oggi l'attentatore è interrogato dalla polizia.

Maroni: "Azione kamikaze" "Per le modalità dell’azione l’attentatore che ha colpito la caserma di Milano si può considerare compatibile con la figura del kamikaze". Lo ha detto il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, al termine del comitato nazionale dell’ordine e della sicurezza, sottolineato che "gli effetti dell’azione non sono stati devastanti soltanto per un difetto di confezionamento dell’ordigno". La bomba artigianale conteneva cinque kg di esplosivo, di cui però solo un decimo del materiale è esploso. "Non siamo ancora in grado di verificare se l’attentato è stato messo a punto da un’organizzazione fai da te oppure se c’era un collegamento con organizzazioni strutturate - prosegue Maroni -. Sarebbe più pericoloso se non ci fosse un collegamento con organizzazioni, perché si tratterebbe di persone che compiono azioni autonomamente ispirandosi a un progetto di tipo jihadista e potrebbero essere tante, e difficilmente controllabili le situazioni del genere". Poi il titolare del Viminale torna ai momenti dell'attacco: "Quando l’attentatore è stato fermato e ha innescato l’esplosivo ha pronunciato delle frasi in arabo che non sono state ovviamente comprese; ma in ambulanza, nonostante le sue gravi condizioni, ha fatto riferimento in italiano ad azioni militari all’estero. Dunque è possibile presumere che l’attentato sia ricollegabile all’intenzione di dare un segnale contro l’impiego dei militari italiani all’estero".

Il fermo dei presunti complici I due presunti complici sono stati fermati dagli uomini della squadra mobile coordinati dal pm di Milano, Maurizio Romanelli, titolare dell'inchiesta sull'attentato, che oggi dovrebbe inoltrare al gip la richiesta di convalida dell'arresto di Game. I fermi sono avvenuti dopo che la polizia ha ascoltato parenti e amici del 34enne libico accusato di detenzione, porto abusivo e fabbricazione di esplosivi e che presto verrà indagato anche per strage. I due presunti complici di Game avrebbero avuto ruoli distinti nella preparazione dell'attentato. Il libico avrebbe aiutato il connazionale Game a reperire il materiale esplosivo usato per confezionare l'ordigno; l'egiziano invece, che è un vicino di casa dell'attentatore, lo avrebbe accompagnato davanti alla caserma.

Il ritrovamento dell'esplosivo Game e i due presunti complici sarebbero stati trovati in possesso di nitrato d’ammonio, un composto chimico utilizzato come fertilizzante, ma anche per produrre l’ammonal e l’anfo, due eplosivi. La sostanza era contenuta in diversi sacchi per un peso totale di circa 40 chilogrammi. Da ieri gli uomini della Digos guidata da Bruno Megale stanno setacciando l’abitazione dell’attentatore così come sono alla caccia di eventuali complici. Proprio la ricerca di persone che abbiano potuto facilitare l’acquisto della sostanza esplosiva ha portato al fermo, nella notte, di un egiziano che vive nello stesso complesso di case popolari in via Civitali dove viveva l’aspirante kamikaze. A finire in manette è stato anche un altro connazionale dell’attentatore che vive poco distante, in zona via Gulli. I tre, che non appartengono a nessuna organizzazione criminale, sarebbero stati trovati in possesso dello stesso materiale utilizzato per confezionare l’ordigno rudimentale fatto esplodere ieri mattina all’interno della caserma Santa Barbara.

La procura e il nitrato Nel corso delle indagini sull’attentato di ieri sono stati sequestrati 40 chilogrammi di nitrato d’ammonio e di sostanze chimiche utili per la fabbricazione di ordigni esplosivi apparentemente dello stesso tipo di quello esploso in via Perrucchetti. Nel corso degli accertamenti è stato appurato che il nitrato venne acquisito circa una settimana fa da Game, l’attentatore arrestato ieri. È quanto si legge in un comunicato stampa della procura della Repubblica di Milano. "Si smentisce - si legge in una nota diffusa dalla procura - che siano stati sequestrati grossi quantitativi di esplosivo, posto che il nitrato di ammonio non è in sè esplosivo anche se costituisce componente per la fabbricazione di materiale esplodente".

I reati e le accuse Anche le due persone fermate questa notte sono accusate di detenzione, fabbricazione e porto di esplosivi, reato contestato a Game, l’uomo che ieri ha tentato di farsi un’azione kamikaze e che è stato arrestato. Le due persone fermate sono Abdel Haziz Mahmoud Kol, egiziano, 52 anni, e Mohamaed Imbaeya Israfel, libico, 33 anni: entrambi incensurati. I due, come ha spiegato in una breve conferenza stampa il procuratore aggiunto di Milano, Armando Spataro, sono stati sottoposti a fermo di pg, provvedimento che dovrà essere sottoposto alla valutazione e alla convalida da parte del gip.

Cellula isolata Un gruppo di terroristi "fai da te" senza alcun collegamento con organizzazioni jihadiste e però con un elevato grado di pericolosità proprio in virtù dell’isolamento da ogni contesto eversivo, disposti anche a immolarsi. Secondo gli investigatori e l’intelligence è questo il quadro che emerge dopo il fermo dei dei due presunti complici di Game, il libico e l'egiziano che lo avrebbero aiutato nella pianificazione e nell’organizzazione dell’attentato alla caserma Santa Barbara.

Imbaeya aveva detto: Game non è integralista Ieri pomeriggio era davanti a casa dell’attentatore libico Mohamed Game, a difenderlo con i cronisti, ma lasciandosi anche sfuggire dettagli inquietanti, che hanno subito incuriosito la polizia. Nella notte Mohamed Imbaeya Israfel è stato fermato, come presunto complice del bombarolo. Libico pure lui Israfel, si era precipitato ieri davanti la casa di Game, in via Civitali, per prendersi cura, così aveva spiegato, dei figli dell’attentatore. "Sto aspettando che tornino i suoi figli - aveva risposto senza alcuna reticenza ai cronisti dopo aver ammesso di essere un suo amico stretto - me ne devo prendere cura io, perchè la moglie Giovanna adesso è da sola". Sulla trentina, carnagione scura, capelli neri crespi, un accenno di baffi e pizzetto e occhi coperti da un grosso paio di occhiali avvolgenti, Israfel, aveva atteso con pazienza un paio d’ore. Vista la sua disponibilità a parlare, i giornalisti non lo avevano mollato. Ma la sua loquacità aveva attirato anche l’attenzione della polizia presente sul posto, tanto che l’uomo era stato subito preso da parte da un funzionario probabilmente della Digos, che in quel momento stava perquisendo l’appartamento. Il libico era stato sottoposto ad una sfilza di domande prima di essere lasciato andare. Poco prima ai giornalisti aveva raccontato che Game era inseguito dai debitori, aveva problemi al cuore e che negli ultimi mesi si era avvicinato molto all’Islam e voleva "fare qualcosa per la religione". Entrando sempre di più nei dettagli, Israfel aveva spiegato di come l’amico Game negli ultimi tempi era finito in una situazione complicata per via dei debiti legati alla sua impresa edile fallita, a suo dire, due anni fa. Aveva ricordato di come nei loro discorsi parlassero di dover cercare un lavoro. E di come l’amico gli dicesse che "bisognava fare qualcosa per la religione" e che "i militari italiani se ne dovevano andare dall’Afghanistan".

"Ma si trattava di conversazioni generiche - ci teneva a precisare Israfel - Il mio amico Mohamed non è un integralista".

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