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Per Bondi ormai Fini è come Inzaghi: sul filo del fuorigioco

RomaÈ sempre lì, sulla linea del fuorigioco. Un attimo prima, un attimo dopo, e tutto cambia. E se l’arbitro non fischia, o il guardalinee non sbandiera, lui allora ci prova a infilarsi nel varco giusto, nella speranza del gol. Insomma, è un po’ come «SuperPippo» Filippo Inzaghi (non ce ne voglia, non si sa mai, l’attaccante rossonero), il Gianfranco Fini che scende in campo da un po’ di tempo, sul filo dell’offside, in bilico tra applausi e fischi. Sempre pronto a scattare in avanti - con distinguo e paletti a volte sfiancanti - anche a rischio di compromettere gli equilibri della squadra.
Per carità, è solo una metafora. Ma l’essenza del problema, politico, non muta. Perché interrogativi, dubbi e sospetti, sulle mosse di Fini - ieri a Stoccolma per la Conferenza dei presidenti dei Parlamenti dell’Ue - rimangono tutti. E non bastano le rassicurazioni su imboscate che non ci saranno, tradimenti non contemplati, logoramenti non voluti e che non porteranno comunque alla caduta del governo. La metafora Fini come Inzaghi, in fondo, è il senso, la sintesi, della lettera che Sandro Bondi ha inviato al Foglio. Il ministro replica all’esortazione di Giuliano Ferrara, che invita a riconoscere la legittimità delle posizioni minoritarie di Fini, per riportare la necessaria quiete nel centrodestra e nel governo.
«Finora, nel Pdl - scrive Bondi - la discussione e il confronto non sono mancati, non sono stati soffocati, anzi si sono manifestati liberamente». E non è questo ciò a cui mira l’ex leader di An, visto che «le ragioni della spaccatura» sono «più profonde di quelle di un legittimo dissenso». Fini, infatti, «ha condotto e conduce il confronto con una logica divisiva e lacerante, che sembrano preludere non dico a una separazione, ma alla delineazione di una storia non in continuità ma in radicale alternativa a quei risultati comuni che hanno consentito in questi anni di traguardare risultati storici, come la nascita del Pdl e un’intensa e positiva esperienza di governo».
Per capirci, «se ciò che ho scritto ha un minimo di fondamento - rintuzza Bondi - è chiaro che la ricucitura, la pace, la ricerca di un modus vivendi, la legittimità di una minoranza interna al nostro movimento politico, non sono questioni facili da raggiungere, proprio perché le radici del dissenso politico sono molto più profonde di quanto non si voglia ammettere». Quindi, «credo sia più onesto ammettere apertamente queste difficoltà, in un libero confronto, piuttosto che sottacerle rinviando un chiarimento vero e definitivo». Punto.
Una «riflessione davvero importante», commenta il portavoce del partito, Daniele Capezzone. Un’analisi invece per nulla condivisa, è ovvio, da Italo Bocchino, che replica sul sito di Generazione Italia, una delle anime della minoranza, insieme a Farefuturo, Spazio aperto (network parlamentare allargato a ex Fi, nel tentativo di «creare una sorta di cuscinetto» tra i due cofondatori, spiega Romano Comincioli, senatore e berlusconiano doc) e Area nazionale. Tutte però ugualmente funzionali, seppur diverse per struttura e modalità d’azione, alla strategia unitaria del radicamento territoriale. Propedeutico alla battaglia, «da dentro», che da qui in avanti intende guidare Fini. Leader a cui tutti, al momento giusto e se necessario, dovranno rispondere «presente».
Ma cosa afferma intanto Bocchino? «Non si può ammettere il dissenso, salvo poi dire “ma non quello di Fini”. Non si può scegliere il dissenso che si preferisce, ma lo si deve accettare e basta, così come avviene in tutti i partiti democratici d’Occidente». E bisogna sempre tenere a mente la «ragione sociale del Pdl», scrive l’ex vicecapogruppo vicario alla Camera, che «nasce con l’obiettivo di creare un partito degli italiani, seguendo la felice intuizione di Pinuccio Tatarella. Un partito forte e quindi capace di sopravvivere a Berlusconi, Fini, Bondi e Bocchino».
Resta dunque complesso il riavvicinamento, seppur inevitabile, tra gli inquilini di Palazzo Chigi e Montecitorio. È possibile, ma «dipenderà molto dai comportamenti», secondo Franco Frattini, convinto che «i fatti saranno molto più importanti delle dichiarazioni». Basterà che «tutti coloro che fanno anche riferimento al presidente Fini seguano lealmente, come hanno promesso di voler fare, in Parlamento, l’azione e il programma di governo». Nel frattempo, c’è chi lavora alla ricomposizione, ipotizzando un faccia a faccia per settimana prossima. Opzione un po’ ottimistica, anche se un eventuale chiarimento dovrà avvenire entro fine mese. Per affrontare, tra l’altro, due spinose questioni: i tagli in vista della manovra e il rinnovo delle presidenze delle Commissioni. Il tempo stringe, anche per le colombe.

E Fini cerca l’attimo buono prima del fuorigioco.

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