Boni prosciolto dopo due anni di inutile gogna

di Luca Fazzo

C ertamente mille buone ragioni potranno venire portate a giustificare l'inverosimile ritardo con cui la giustizia ha tolto dalle proprie grinfie Davide Boni: carichi di lavoro immani, carenze di personale, eccetera. Ma se si guarda la vicenda dal punto di vista del comune cittadino, la storia che si chiude ieri sembra fatta apposta per rafforzare i dubbi più radicali sulla efficienza della giustizia.

Era il 6 marzo 2012, quando la Gdf fece irruzione negli uffici di Boni al Pirellone, dove l'esponente leghista sedeva sul banco più alto del consiglio regionale. «Confermo che in data odierna mi è stata notificata un'informazione di garanzia, contestualmente a una perquisizione degli uffici della mia segreteria», disse Boni, dichiarandosi pronto a chiarire. Lui era pronto a chiarire, ma la magistratura era assai meno pronta a starlo ad ascoltare. Ci vollero due anni perché l'allora procuratore aggiunto Alfredo Robledo e il pm Paolo Filppini, a lungo avendo scavato e nulla avendo trovato, firmassero la richiesta di archiviazione. Secondo gli stessi inquirenti le accuse lanciate da Michele Ugliola, architetto di lungo corso, contro Boni, non stavano in piedi. Ovviamente, nel frattempo le accuse contro Boni - tangenti per un milione! - erano finite sulle prime pagine dei giornali.

Non era vero niente. Intanto Boni si era dimesso, fuori dalla Regione, fuori dalla politica. Due anni di indagine prima di rassegnarsi alla innocenza dell'indagato sono tanti, ma purtroppo nella media. Si può invece immaginare cosa è accaduto giorno per giorno a Boni: che è rimasto lì, in anni cruciali della vita di un uomo, con il marchio dell'inquisito addosso. Ieri, finalmente, arriva l'archiviazione. L'incubo è finito. La sentenza finale è lunga poche righe.

Per scriverla, il giudice ha impiegato due anni e quattro mesi.

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