Roma

Borgo Velino, minuscolo scrigno di antiche bellezze

Renato Mastronardi

Il borgo sabino di antichità medievale si affaccia, riposato sulla riva sinistra, sulle acque ancora limpidissime di quel fiume Velino che segna gran parte del territorio reatino. E, in particolare, l’antico paese si mostra all’altezza di quel tratto del lungo corso del fiume che, poco prima, dopo essersi insinuato nella strettoia creata dai contrafforti dei monti Serrone e Giano, preannuncia le fantastiche gole di Antrodoco: un panorama di straordinarie e fascinose mirabilia della natura. Che è, forse, questa una delle caratteristiche del patrimonio paesaggistico di Borgo Velino. Il minuscolo paese si può raggiungere percorrendo la Salaria e si trova a poco più di 20 chilometri da Rieti, quasi a metà strada tra Castel Sant’Angelo ed Antrodoco e al termine di un piccolo tronco stradale che si diparte dalla statale. Si può raggiungere anche utilizzando la ferrovia Roma-L’Aquila che si frappone tra il paese stesso e la via Salaria, ma, in questo caso, i tempi di percorrenza si allungano.
Ora, però, passiamo sul ponte della storia. Anche perché, quella che interessa Borgo Velino scende direttamente dal Medioevo e troppo in fretta. A parte il fatto che può vantare un primato singolare: ha cambiato, lungo gli scarsi secoli della sua storia, per ben tre volte il suo nome. In principio si chiamò Forca Pretura, poi Borghetto e, infine, prese il nome dal fiume Velino che ne attraversa e feconda la piccola valle. Sta di fatto, comunque, che quel grumo di case, appollaiato su una delle rive del fiume Velino, non riuscì ad emergere in modo da imporsi come castello e fortilizi, anche se la sua posizione strategica - naturalmente interessa ai traffici commerciali che si sviluppano tra la consolare Salaria e le più arretrate terre dell’Umbria, dell’Abruzzo e delle Marche - avrebbe dovuto sollecitare le attenzioni più nobili e feudali dei signori che, intanto, si stabilivano e si rafforzavano, mediante la costruzione di rocche e castelli, in quella parte del territorio circostante più esposta alle mire egemoniche e del confinante regno delle Due Sicilie e della prepotente ed arrogante invadenza del bellicoso ducato longobardo di Spoleto. Fortuna volle, tuttavia, che Borgo Velino rimase fuori da quel periodo di corrusche rappresaglie feudatarie che, invece, dissanguarono le vicende di comuni più importanti e limitrofi come quelli di Leonessa, Cittaducale e Antrodoco.
Da vedere. Non si può certamente ignorare l’elegante e molto articolata, anche dal punto di vista stilistico, che il paese ti «sbatte» in faccia all’ingresso del borgo che si presenta con una serie di edifici - quasi tutti del XV e XVI secolo - che fanno da quinta alla piazza principale - e che si accompagnano alla vicinanza delle principali vie di comunicazione. Tuttavia, l’edificio architettonicamente più interessante è la Chiesa di San Matteo che - come annota una nota illustrativa della Pro-loco - fa da punto di riferimento artistico, ed anche visivo, grazie alle dimensioni che, rispetto all’esiguità del paese, la rendono quasi imponente.
Da mangiare e da bere. La cucina borghettana ha recepito gli odori e i sapori della natura che la circonda e la nutre: i frutti del sottobosco e le trote argentate del fiume. Con una gustosa variante che si accompagna all’uso, quasi costante, del più celebrato dei tuberi: il tartufo, nelle sue varie forme, da quello bianco al nero invernale, che, ovviamente, fa la parte del leone nei menù. È, quindi, d’obbligo aprire con crostini o frittatine al tartufo e fagiolini con tartufo. Tra i primi meritano anche le fettuccine e i tortelli di carne ancora e sempre al tartufo. Tra i secondi, ottimo è il girello di vitello al lombo di maiale e, assolutamente da non mancare, la squisita trota tartufata o, insuperabile, «al cartoccio».

Il vino, non eccelso, ma abbastanza godibile, è quello locale, vivace quanto basta.

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