Controcultura

Buio, spettri, malinconia. Ecco il Genovesino, un «romantico» del '600

Atmosfere esoteriche e sensibilità morbosa sono il filo conduttore delle opere del pittore

Buio, spettri, malinconia. Ecco il Genovesino, un «romantico» del '600

A che punto siamo con il Genovesino? Dopo una lunghissima notte, squarciata solo dai lumi di Roberto Longhi e di Mina Gregori, il Miradori riemerge ora dopo anni di approfondimenti a Cremona, e, immediatamente dopo, a Piacenza. Due delle città della sua umana e mistica passione artistica. Pittore padano per eccellenza, Genovesino offre una intelligente e sensitiva variante della pittura lombarda affiancandosi in una posizione periferica a Guercino, che ha avuto più precoce e miglior fortuna. Di questa affinità era pur consapevole Genovesino che dipinge, ammiccando al collega, la Decollazione di San Paolo della pinacoteca di Cremona con una dichiarazione di intenti e di consonanza: «ex centensis inventiome adulterata», che vuol dire derivata dal Guercino, il pittore di Cento. La strada è tracciata e la ricostruzione delle opere del Genovesino, anche, in relazione con la presenza piacentina del Guercino, nella cupola del duomo del 1627.

Al confronto con il maestro emiliano, Genovesino denuncia il suo debito dal Martirio di San Giacomo maggiore dipinto nel 1627 per la chiesa di San Pietro e Prospero di Reggio Emilia, immediatamente successiva agli affreschi della cattedrale di Cremona. Riconoscendo il magistero del Guercino, Genovesino ne cambia l'atmosfera nell'intatta vertigine di una valle sprofondata nella nebbia, in un paesaggio spettrale. In alto nubi rosa, gialle, grigie e minacciosi corvi sopra il campanile, in una premonizione del paesaggio romantico carico di presagi e proiezioni sentimentali. Guercino non proietta il suo animo turbato sul paesaggio, sereno anche quando è plumbeo. Genovesino invece è già entrato nella considerazione del paesaggio come stato d'animo e ne dà una struggente evocazione. C'è da credergli, in quelle nebbie fra Tortona e Voghera, attraversate nel viaggio da Genova a Piacenza per tenerne poi inquieta memoria. Non c'è l'eguale di quella atmosfera stregonesca in nessun pittore di quel tempo, neanche in Caravaggio. Guercino è solo un pretesto.

Quando poi Genovesino arriva alla Suonatrice di liuto, Guercino è già dimenticato. Si affollano gli stimoli e le fonti, dal Gentileschi al Caroselli, dal Cagnacci allo Strozzi. Ma nessuno aveva conferito alla meditativa suonatrice l'atmosfera stregonesca di quello spazio dominato da un teschio, minaccioso prima che allegorico, nello scasso di una nicchia, in un muro più catramoso di un Cretto di Burri. Monili, spille, e un sacco di monete, completano il quadro di una tra le immagini più intense e drammatiche della pittura del Seicento. Nella concentrazione della musica, in quel volto pensoso, indimenticabili sono le nervose mani che la agitano, nella più esoterica atmosfera. In questa sequenza degli anni Quaranta si può leggere, dopo il primo infruttuoso soggiorno, l'attenzione della committenza piacentina, al ritorno nella vicina Cremona, dove ebbe rapida fortuna. Ne è prova la complessa Circoncisione, datata 1643, proveniente dalla collezione di Ugo Bizzi. E qui vorremmo osservare, a integrazione degli spunti di Ferdinando Arisi che richiamò la spazialità di Viviano Codazzi, una forse più pertinente contiguità con le ambientazioni prospettiche di Tanzio da Varallo negli affreschi delle cappelle del Sacro Monte, nella scena teatrale in primo piano, con lo sfondo architettonico più di un luminoso prospetto di edificio classicheggiante. Il panneggiare mosso e vibrante rimanda invece a Domenico Fetti.

Nessun dubbio che la cultura di Genovesino sia varia e sofisticata. Nella sequenza piacentina ravviso la sensibilità morbosa del pittore nell'intenso Ritratto di giovane gentiluomo appartenente alla Fondazione Cavallini-Sgarbi, avvolto in un misterioso turbamento con echi alla Cairo. Si potrebbe pensare che quel giovane sia stato il bambino con il cane nel quale si riconosce il Ritratto di Sigismondo Ponzone della pinacoteca di Cremona. È in queste attitudini pensose, in questa malinconia incontenibile che si distingue la complessa identità del Genovesino.

Molto agli studi sul Genovesino si deve a Marco Tanzi, erede del testimone di Longhi e della Gregori, che ha, dopo anni di ricerche, realizzato la mostra monografica a Cremona; e che, in fausta «corrispondenza di amorosi sensi», ha, per culmine di felicità, concepito la mostra di Genovesino a Piacenza, continuando il dialogo collaudato con Francesco Frangi e Valerio Guazzoni, ammettendo al nuovo convivio Laura Bonfanti. Come abbiamo visto, alla verifica delle opere, quello tra Genovesino e Piacenza è, propriamente, un «rapporto mai interrotto». Alla fine struggente, tra insoddisfazione e rimpianto; così da sigillarsi nello stato di necessità di trasferirsi a Cremona, a trovarvi quella soddisfazione che gli avrebbe consentito di ritornare, come avvenne, a Piacenza. Corrado Sforza Fogliani ha consentito il risarcimento del Genovesino a Piacenza, dopo il suo primo dolente congedo espresso nella disarmata supplica alla duchessa Margherita de Medici: «Havendo Gio. Luiggi Miradoro Genovese Pittore, servo humilissimo di v.a.s. habitato in questa Città di Piacenza, esercitando la sua Arte, per lo spatio di più di doi anni, sono alcuni mesi che per esser mancate le faccende di detta sua arte, si trova in necessità con la sua povera famigliuola, e per far ciò è astretto di andare in altre parti a procacciarsi la sua ventura; per tanto ad ogni buon ne fà riccorso all'a.v.s. Humilmente suplicandola, che si degni di concederle licenza di poter levarsi da questa città con le sue poche robbe, et sua famiglia, la quale è sua moglie, un puttino, et un suo Garzone, comandando a suoi ministri di no farli alcuno impedimento, ma che lo lascino andare al suo viaggio».

Una pagina di commovente umanità che avrebbe emozionato Giovanni Testori.

E noi con lui.

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