Il buonismo non sana i mali della giustizia

Pietro Mancini

Senatore Mastella, scherzi con i fanti, ma lasci in pace i santi! E non tenti di nascondere le difficoltà dell’Unione dietro al nobile appello alla clemenza rivolto al Parlamento da Giovanni Paolo II! Stavolta, anche chi ha sempre guardato con diffidenza alla tendenza di Tonino Di Pietro a farsi portavoce delle richieste della parte più giustizialista dei suoi ex colleghi, non può essere costretto a scegliere la linea eccessivamente «perdonista» dello statista di Ceppaloni. Il quale ha utilizzato strumentalmente il discorso di Wojtyla per respingere le proteste di commentatori, di cittadini e anche del suo collega molisano. L’allentamento indiscriminato del rigore non convince. I problemi della giustizia e delle carceri, come ha sottolineato ieri Giorgio Napolitano, non si risolvono senza occuparsi delle cause della crisi del settore. È condivisibile la severa osservazione di Barbara Spinelli: l'indultone rivela una «profonda e radicata indifferenza alla cultura della legalità e al rapporto, sano, tra Stato di diritto ed economia». Mastella non può pretendere che gli italiani saltino di gioia, leggendo che del provvedimento si gioveranno anche l’ex dirigente della Juventus e del Napoli, Luciano Moggi, e gli avidi «furbetti del quartierino», iscritti alla Quercia, oltre agli spietati assassini Pietro Maso e Ruggero Jucker!
Non intendiamo salire sul carro di Tonino e di Marco Travaglio, il cui protagonismo ci irrita. Ma stavolta non ce la sentiamo di approvare il fatto che la linea sulla giustizia venga data da quella che è stata definita la «lobby di Lotta Continua», guidata da Adriano Sofri e che comprende il sottosegretario di via Arenula, con delega all’Amministrazione penitenziaria, Luigi Manconi, ex «LC», poi vicino al craxiano Claudio Martelli, quindi verde e oggi diessino. E Sofri non può insultare chi dissente da lui, oppure stabilire chi meriti di essere accostato al liberale Piero Gobetti, vittima del regime fascista, e chi, al contrario, vada additato al pubblico disprezzo come cretino patentato.
Bisogna considerare le critiche all’indulto mosse da autorevoli giuristi, come Carlo Federico Grosso, di area diessina, e Michele Ainis, vicino a Pannella. Il garantismo va sempre mantenuto, ma Quercia e Margherita si renderebbero ridicole se ne affidassero la bandiera a don Clemente, che nei primi anni ’90 se ne stette acquattato e silenzioso, di fronte ai colpi inferti dal «partito dei giudici» di Luciano Violante a molti dirigenti della Dc e del Psi.
Oggi i tempi sono cambiati, ma la sinistra e anche i partiti della Cdl, che hanno votato l’indulto, sbaglierebbero a trascurare lo stato d’animo dell’opinione pubblica. Le condizioni di vita, in tanti penitenziari non dignitose, quando non vergognose, vanno considerate e gradualmente eliminate, senza ignorare le inquietudini di larghi settori dell’opinione pubblica. L'emergenza carceraria va affrontata, ma senza ricorrere a provvedimenti che rischiano di eliminare la certezza della pena per i condannati. Dal Paese viene una diffusa richiesta di maggiore sicurezza e di efficienza delle forze dell’ordine, nella repressione e nella prevenzione dei crimini, così come nell’esecuzione effettiva delle pene, senza dover ricorrere a sconti e a benefici. Senza tifare per Di Pietro, va auspicato che la nuova linea sulla giustizia e sulla politica carceraria non sia caratterizzata da permissivismo e buonismo.

Che piacciono a Sofri e a Manconi, ma da cui scaturirono in passato leggi, come la famigerata Gozzini, che hanno consentito a molti detenuti di tornare uccel di bosco e di commettere altri reati.

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