Politica

C’è il modo per restituire i soldi alle famiglie

L’inflazione sta diventando una piovra che succhia quote crescenti di competitività alle imprese e di reddito disponibile alle famiglie. Bene ha fatto l’Istat distinguendo il tasso d’inflazione generale (oggi al 4,1% annuo) dall’aumento dei prezzi dei generi di prima necessità che viaggia ormai sopra il 6% annuo. Pane, pasta, carne, luce, gas, trasporto e tutte le altre spese essenziali per una famiglia normale sembrano ormai impazzite. E così, alla mancata crescita (saremo fortunati se quest’anno non andiamo sotto lo zero), si aggiunge l’impoverimento di quei milioni e milioni di italiani o a reddito fisso (lavoro dipendente e pensionati innanzitutto) o che non riescono a traslare più di tanto l’aumento dei prezzi sulle proprie prestazioni professionali, commerciali e produttive.
Un’onda anomala di povertà si sta abbattendo su una società come quella italiana già affaticata da quindici anni di scarsa produttività del lavoro, di crescita bassa e di fratture sempre più allarmanti tra territori e tra i vari ceti sociali, se ancora è possibile esprimersi con questi termini. L’onda di povertà, infatti, appiattisce e unifica sul baratro del bisogno fasce crescenti di popolazione, facendo spesso scomparire le vecchie distinzioni sociologiche. Una situazione grave che non può essere edulcorata dal «mal comune mezzo gaudio» visto che tutta l’Europa è sferzata dal vento dell’inflazione. È vero, infatti, che la zona euro in media ha il nostro stesso tasso d’inflazione, ma è altrettanto vero che tutti crescono molto più di noi.
Bisogna subito agire, ricordano che ogni tempesta colpisce innanzitutto i più deboli. Ed oggi i più deboli sono la stragrande maggioranza degli italiani, oltre che milioni di imprese che devono competere con costi crescenti sul mercato internazionale, oltre che su quello domestico. Ma cosa ha generato quest’onda anomala inflattiva? Una parte delle responsabilità, come ha denunciato Giulio Tremonti, sta nella speculazione finanziaria che si è abbattuta sui prezzi delle materie prime, energia ed alimentari innanzitutto, come dimostra il calo di 30 dollari del prezzo del barile in meno di una settimana. Una speculazione politicamente forte e che pertanto viene poco contrastata sul piano internazionale. Un’altra parte di responsabilità, almeno per quanto riguarda l’Italia, ha origine nell’aumento della tassazione centrale e locale degli ultimi due anni che ha depresso la crescita e rilanciato l’inflazione.
Già alcuni mesi fa gettammo l’allarme sull’aumento dell’imposizione locale su famiglie e imprese. Imposizione che inevitabilmente per quanto riguarda commercio, artigianato e attività professionali è stata puntualmente traslata sui prezzi. E questo è anche il rischio della famosa tassa di Robin Hood perché, nonostante il divieto di legge, sarà difficile che banche, assicurazioni e petrolieri tra qualche mese non trasferiscano ai prezzi l’aumento dell’imposizione subita, tenendo peraltro conto che i 4 miliardi di euro recuperati ai loro utili non sono stati utilizzati per ridurre, ad esempio, il peso delle accise sulla benzina o sul gasolio o sterilizzando l’Iva su questi prodotti restituendo così una parte del maltolto ai cittadini. E qui sorge la domanda su cosa fare. Un tasso d’inflazione così alto genera un aumento della pressione fiscale e quindi del gettito tributario. Per il solo aumento del prezzo del barile di petrolio lo Stato ha incassato negli ultimi dodici mesi circa 2 miliardi in più in maggiore gettito Iva. E così è anche per la pasta, il pane, la carne e per le mille bollette che affannano le nostre famiglie, per non parlare del fiscal drag su redditi e pensioni. È urgente che questo maggiore incasso dello Stato venga subito restituito alle famiglie e alle imprese, riducendo l’imposizione fiscale su questi beni e ripristinando così ad un tempo una parte del potere d’acquisto perduto e raffreddando la spirale inflazionistica. Non si tratta di una riduzione delle tasse, come ha detto qualche autorevole opinionista, riduzione che peraltro sarebbe utile per una maggiore crescita e per la lotta all’inflazione.

Quella proposta è semplicemente una manovra di buonsenso che se fatta subito può evitare che quella tassa occulta legata all’inflazione aumenti ancora una pressione fiscale ormai giunta ai limiti della ribellione in un Paese come l’Italia che boccheggia sul ciglio della recessione.
Geronimo

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