Politica

C’è uno sfregio alla Costituzione. Ma questa volta la sinistra tace

Caro Direttore,
sono passate poco più di ventiquattr’ore dalla non-oceanica adunata di Mirabello, e, ad eccezione del Pdl, del Giornale e di qualche altra testata libera, nessun altro ha avuto l’onestà intellettuale di porre a Gianfranco Fini la questione della sua permanenza sulla poltrona più alta di Montecitorio.
Facciamo una simulazione o un «caso di scuola», come si dice: cosa sarebbe successo, a suo tempo, se Nilde Jotti o Luciano Violante avessero osato spaccare il loro partito di origine, formando gruppi parlamentari autonomi, e usando la Presidenza della Camera per condurre una polemica ossessiva e faziosa contro uno schieramento politico? La risposta è fin troppo semplice: nello spazio di mezza giornata, sarebbero stati energicamente accompagnati fuori dai loro sontuosi uffici. Di più: al primo loro eventuale cenno di opposizione o di protesta, sarebbero stati messi a tacere, in rapida sequenza, da un centinaio di costituzionalisti pronti a spiegare il vulnus in corso contro la Costituzione, da vibranti appelli di intellettuali contro l’azione golpista in atto, da mobilitazioni della società civile e della stampa «demogradiga», da editoriali pensosi e sdegnati, fino all’immancabile richiamo alla Resistenza tradita.
Stavolta, invece, i costituzionalisti tacciono, i «professionisti dell’appello» hanno esaurito la carta e l’inchiostro, e gli editorialisti si attorcigliano in commenti sospesi tra il giustificazionismo e l’attesa di (non) si sa bene cosa. Il perché di tutto questo è ormai chiaro: l’antiberlusconismo, l'ostilità profonda contro la persona e la politica di Silvio Berlusconi sono divenuti così totali e accecanti per il cosiddetto «establishment», da mettere in secondo piano perfino un minimo di decenza istituzionale.
Diciamoci la verità: la politica italiana ne ha viste tante, e da alcuni lustri si assiste ad un qualche protagonismo dei Presidenti delle Camere, ai quali di tanto in tanto è capitato di sconfinare. Ma mai nessuno, prima di Fini, aveva osato arrivare a tanto: usare la terza carica dello Stato per costruirsi un partitino, per attaccare e tentare di sovvertire la maggioranza scelta dagli italiani, per trasformare il seggio più alto di Montecitorio in uno sgabello da cui tenere un permanente comizio «contro».
Certo, non c’è da attendersi che Gianfranco Fini risponda in modo convincente: sarà forse occupato, chissà se con l’ausilio di qualche familiare, nella stesura di quel codice etico su cui catoneggiava l’altra sera.

Ma intanto, Direttore, grazie di cuore a voi del Giornale, che non smettete di fare qualche domanda scomoda a nome dei molti italiani («infami» anche loro?) stanchi di essere smaccatamente, e direi quasi programmaticamente, presi in giro.
*portavoce nazionale Pdl

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